UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto.

Rubrica Colori: Caravaggio. Riposo durante la fuga in Egitto Artista Caravaggio giunge a Roma nel 1592. Grazie forse all’aiuto dello zio prete, trova ospitalità presso monsignor Pandolfo Pucci, ma presto cambia sistemazione anche a causa della scarsità di vitto che “Monsignor insalata”, così lo soprannominò, gli offriva. Fa amicizia  con vari artisti e frequenta pittori di […]
24 Maggio 2018

Rubrica Colori: Caravaggio. Riposo durante la fuga in Egitto

Artista

Caravaggio giunge a Roma nel 1592. Grazie forse all’aiuto dello zio prete, trova ospitalità presso monsignor Pandolfo Pucci, ma presto cambia sistemazione anche a causa della scarsità di vitto che “Monsignor insalata”, così lo soprannominò, gli offriva. Fa amicizia  con vari artisti e frequenta pittori di poco conto quando, nel 1593, approda alla bottega di Giuseppe Cesari, il cavalier d’Arpino, il più prestigioso pittore di Roma.

Da poco più di un anno Caravaggio, stanco di dipingere “mezze figure” e nature morte, si mette in proprio. Ai margini del mondo artistico romano, senza committenti, ben presto Caravaggio si riduce in povertà ma, grazie ad un amico, trova  la “comodità di una stanza” nel palazzo di monsignor Petrignani.

Qui conosce il cardinal del Monte, uomo di cultura, musicista e mecenate che apprezza molto la sua pittura, lo prende al suo servizio e ne promuove l’opera. In breve tempo la fama di Caravaggio conquista i salotti dell’aristocrazia romana, la novità della sua pittura diventa tema di dibattiti e discussioni. Ha venticinque anni e al cambiamento di ambiente corrisponde un mutamento di stile che lo conduce a ricercare e scegliere nuovi soggetti; abbandona le tele di piccole dimensioni in favore di composizioni più complesse che più avanti lo porteranno alla realizzazione di opere con più personaggi e alla rappresentazione dell’azione e dei moti dell’animo. Da questo momento nel mondo dell’arte la sua fama cresce fino a diventare il grande pittore che tutti conosciamo.

Opera

“Il riposo durante la fuga in Egitto”, databile intorno al 1595, è un’opera degli anni giovanili del primo periodo romano del Caravaggio. Commissionato da monsignor Petrignani, di formato più grande rispetto ai precedenti, a soggetto religioso, il dipinto è un “quadro di stanza”, cioè veniva posto in casa. Il paesaggio sullo sfondo rimanda alla pittura lombardo-veneta e ricorda la “tempesta” del Giorgione. Nella produzione del Caravaggio rappresenta un unicum per il paesaggio insieme al “sacrificio di Isacco” (1603-1604).

Nelle opere più tarde del Caravaggio prevale il contrasto tra luce e buio mentre qui abbiamo una diffusa luminosità che fa da sfondo ai personaggi. Rappresenta la sosta, il riposo di Giuseppe e Maria durante la fuga in Egitto narrata dall’evangelista Matteo[2]. Un momento drammatico se immaginiamo persone che fuggono dal loro paese perché minacciate e perseguitate. Qui, invece, il Caravaggio ha voluto raffigurare la sacra famiglia nella tranquillità di una sosta in cui i personaggi e la natura che li circonda destano, nell’osservatore del quadro, uno stato d’animo sereno allietato dall’angelo che suona il violino e che pur con una corda spezzata, riesce a trasmettere tutto il suo incanto e la sua dolcezza.

I personaggi sono presentati l’uno accanto all’altro, in una lettura simbolica, un movimento dello sguardo che va da sinistra a destra (nei significati biblici, il passaggio dal Primo al Secondo Testamento) il tutto raffigurato nella varietà dei colori, dalla realtà delle cose e dai soggetti rappresentati.

Paesaggio

Ci troviamo su una strada che porta dalla Palestina verso l’Egitto. Il Caravaggio pone lungo questa via delle carovane la sosta della sacra famiglia. Un occhio attento può notare le impronte degli animali, dei carri, i ciottoli spezzati, addirittura si può percepire l’umidità della notte sia sul terreno che sulle piante. La scena ha luogo sul finire della notte; a destra, preannunciata dal chiarore del cielo, sta per spuntare l’alba. Ciò che colpisce in questo paesaggio è la vegetazione. Caravaggio riesce minuziosamente a riprodurre ogni tipo di pianta; possiamo riconoscerle dalle foglie e, ancor di più, a dare un significato simbolico. Maria e il bambino sono sotto una quercia, dietro le spalle di Maria possiamo riconosce l’alloro (a rappresentare la perenne verginità di Maria), poi le canne sul greto del fiume e le spine dei rovi (allusione alla passione di Cristo), il cardo e il tasso barbasso (racconta una leggenda che durante la fuga, nel precipitare degli eventi, alcune gocce di latte fuoriuscirono dal seno di Maria e macchiarono di bianco le foglie di questa pianta). Caravaggio con questa minuzia di particolari riesce a rendere tangibile la realtà, a coinvolgere l’osservatore e a spingerlo alla contemplazione.

Maria e il bambino

Maria dorme, il capo reclinato su Gesù, il suo corpo è abbandonato al sonno e dorme tranquilla perché sa che può contare sul suo sposo Giuseppe. Maria è una giovane donna, molto bella, dai lineamenti delicati e gentili. I suoi capelli, raccolti, color vermiglio dicono di una bellezza ideale anche se, come sappiamo, Caravaggio  prendeva i suoi modelli dalla strada perché a lui non interessa idealizzare, trasfigurare, ma raffigurare la realtà. Nel rappresentare Maria sicuramente Caravaggio si è ispirato alla sposa del Cantico dei cantici “le chiome del tuo capo sono come porpora del re”.

Maria dorme ma allo stesso tempo veglia il suo bimbo, stretto in un tenero abbraccio.

Gesù, ritratto di profilo senza aureola, è paffutello e dolce come tutti i bimbi (notiamo anche qui il realismo dell’artista).

Giuseppe e l’asino

Giuseppe, seduto su un sacco dove sono riposte le poche cose che servono per il viaggio, veglia Maria e il bambino, è il loro custode. Regge tra le mani uno spartito musicale, un angelo suona il violino che diffonde una musica celestiale per alleviare il disagio di questa fuga.

Il volto di Giuseppe è il volto di uomo buono, malgrado la drammaticità del momento il suo sguardo è incantato e sereno. Degno di nota e particolare che sorprende è il muso dell’asino accostato alla testa di Giuseppe, la loro vicinanza forse per associare l’umiltà dell’animale e la fedeltà alla volontà di Dio da parte di Giuseppe. L’asino, gli occhi spalancati che brillano nell’oscurità, sembra seguire il movimento dell’angelo, la sua musica, la melodia del suo violino.

Lo spartito

L’angelo suona una ninna nanna, interpreta uno spartito che contiene solo note. Alcuni musicologi hanno identificato la partitura dipinta da Caravaggio in un mottetto del compositore fiammingo Noel Bauldewijn, composto dal testo biblico del Cantico dei Cantici "Quam pulchra es", pubblicato nel 1519 e stampato nel 1526. Questi canti erano molto popolari nel rinascimento, venivano eseguiti nelle feste dedicate alla Beata Vergine Maria. I primi sei versetti sono dedicati dallo sposo allo sposa, Maria e i quattro ultimi dalla sposa allo sposo: Maria rappresenta la Chiesa, Gesù è lo sposo e Giuseppe il custode del dono, Gesù.

 

Angelo musicante

L’angelo musicante è in primo piano quasi per separare (ma contemporaneamente unire) le due sezioni del quadro. Chi si sarebbe mai sognato di ritrarre un angelo di spalle? Il Caravaggio lo ha fatto, con il volto di profilo rivolto verso Giuseppe che gli pone lo spartito. L’angelo è una figura ideale, celeste, ma come sempre il Caravaggio lo rende reale: i piedi nudi per terra, tra i sassi, e avvolto da un telo. Le sue ali, dalle tonalità di nero e grigio, mettono più in evidenza il candore del corpo.

 

Il fiasco

Nella fretta della fuga da Betlemme il fiasco viene chiuso con un foglio di carta arrotolato. Ci piace leggere questo dettaglio come un “messaggio nella bottiglia” che i naufraghi affidano al mare. È rivolto a noi. Ma qual è il messaggio? Quello di Giuseppe è di “non temere”, non aver paura; è un invito a tutti quelli che vivono delle difficoltà ad affidarsi alla provvidenza, alla volontà amorevole del Padre, sicuri che solo in Lui possiamo trovare pace e serenità.

Nell’interpretazione biblica e nell’iconografia medievale il fiasco è il riferimento all’Eucaristia: contiene la bevanda che accompagna nel viaggio i discepoli, segno della presenza continua di Gesù tra loro.

Approccio vocazionale

La vocazione: custodire Gesù nella nostra vita

La vita umana diventa la realizzazione del sogno di Dio, è la scoperta della vocazione che chiede all’uomo di sognare Dio. Giuseppe può essere definito l’uomo dei sogni perché Dio sceglie questa strada per parlargli, fargli comprendere la sua volontà, per salvarlo e per salvare, per fargli vivere la fedeltà, il senso di responsabilità, e così discernere il progetto di Dio sulla propria vita. Tutte dimensioni molto importanti che hanno una valenza vocazionale.

Giuseppe riceve un preciso comando: “Alzati prendi con te il bambino e sua madre… “ e lui risponde con obbedienza e convinzione.

C’è un dialogo tra Giuseppe e Dio che avviene attraverso il sogno: Dio parla, Giuseppe ascolta ed esegue ciò che Dio gli dice. In tutta la Scrittura non si riporta una sola Parola detta da Giuseppe. Ci piace vederlo come uomo d’azione e prenderlo come riferimento per un chiamato: questa è l’espressione della sua spiritualità.

Consideriamo la vita di Gesù e Giuseppe: Dio poteva trovare altre strade per salvare suo figlio Gesù; perché esporlo così al pericolo? Dio si serve dell’obbedienza e della prudenza di un uomo: lo affida a Giuseppe.

Ciò che narra Matteo nel suo evangelo può essere di riferimento per ognuno di noi. Anche noi siamo sollecitati a “leggere”, a interpretare, a capire gli eventi della nostra vita, soprattutto quelli più difficili, nelle situazioni tristi e nelle esperienze dolorose: “Alzati prendi con te il bambino e sua madre” .

Con Giuseppe, Maria e il bambino comprendiamo meglio il sogno di un futuro migliore di molti popoli. In molti, ancora oggi, lasciano la propria terra di origine per fuggire dalle guerre, per raggiungere altri paesi portando in sé attese e speranze.

Giuseppe è un uomo che non si sottrae, compie la volontà di Dio per sé e per le persone a lui affidate. In ogni chiamata Dio ci affida un dono da custodire: Gesù. Anche noi dobbiamo difendere con la nostra vocazione, il dono che ci è stato affidato, difenderlo dai tanti che vogliono ucciderlo dentro di noi.

Dio ci affida il suo progetto di salvezza, ci chiama a custodirlo, a difenderlo ma spesso prevale la tentazione di lasciare, di fuggire dalle difficoltà, di evitarle; Giuseppe ci fa comprendere che dobbiamo rispondere con il cuore, con dedizione totale alla scelta che Dio ha fatto per noi di realizzare il suo sogno, nel segno di una autentica vocazione.

Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”

Come afferma Papa Francesco, Giuseppe è l’uomo della Parola ascoltata e della tenerezza, è l’uomo dell’azione che accoglie la Parola, il progetto di Dio nella sua vita concreta. Ecco perché di lui non si trovano parole scritte ma solo gesti d’amore compiuti. Così avvenga per ciascuno di noi, per ogni chiamato…

 Preghiera

Signore,

Giuseppe sognava una vita con Maria

una notte, a lui, sei apparso in sogno

Giuseppe accetta il tuo sogno

dà la sua disponibilità

Signore, sei tu il dono che ha avuto Giuseppe.

Signore, facci sognare con i sogni di Dio

come hai fatto con Giuseppe

facci accettare la tua volontà

la scelta che hai fatto per noi

di realizzare il tuo dono.

 

 

 

 

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