UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Comunità senza barriere

È una messa piena  di suoni e colori quella  che si celebra ogni do­ menica  mattina nella parrocchia Santi Martiri  dell'Uganda a Roma. Una comunità di oltre  lOmila  anime  che  si ritrova  senza  barriere: adolescenti con problemi dello spettro autistico  che si muovono li­ beramente, mentre anziani con problemi di deambulazione seguo­ no la celebrazione […]
18 Luglio 2018

È una messa piena  di suoni e colori quella  che si celebra ogni do­ menica  mattina nella parrocchia Santi Martiri  dell'Uganda a Roma. Una comunità di oltre  lOmila  anime  che  si ritrova  senza  barriere: adolescenti con problemi dello spettro autistico  che si muovono li­ beramente, mentre anziani con problemi di deambulazione seguo­ no la celebrazione dalle prime  file. E poi ragazzi in carrozzina, don­ ne in gravidanza, giovani immigrati e persone sorde.

«Le messe  si adattano alle persone, come  quei  vestiti  non  per­fettamente cuciti  che  piano  piano  prendono la forma  del corpo», racconta il parroco  don  Luigi D'Errico.

Quando dieci  anni  fa ha  preso  le  redini  della  parrocchia e ha spalancato le porte  della chiesa  a tutti,  qualcuno ha storto  il naso: «L'idea era  che  la messa  fosse un  momento serio  e silenzioso.  Ho fatto  presente che ci sono  cinque  funzioni al giorno  di domenica e ognuno si può  spostare  in  quella  che  preferisce.  Nel tempo,  però, le persone hanno imparato a conoscere gli altri e a capire  che tutti fanno parte  della  stessa  comunità. È stato  semplice,  non  abbiamo dovuto studiare nulla  a tavolino».

«Ogni  cristiano  e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione  e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società» ( EG).

La parrocchia Santi  Martiri  dell'Uganda, eretta il 4 settembre 1970  e consacrata da  Giovanni  Paolo  II il 26  aprile  1980,  rende omaggio  a un  gruppo di 22 servitori, paggi  e funzionari del  re di Buganda convertiti al cattolicesimo dai Missionari  d'Africa  del car­dinale Charles  Lavigerie,  che vennero fatti uccidere  perché  cristiani tra il 1885 e il 1887.

Prima di essere nominato parroco  della chiesa del quartiere Montagnola, don Luigi è stato  per dodici anni tra gli italiani  in Sviz­zera  dove,  spiega,  «la situazione è peggiore)): «Le persone disabili conducono una  vita  parallela  rispetto  agli altri  cittadini, garantita economicamente, ma lontana dagli altri.  Si tende  a farle vivere  tra loro  o, al massimo, con  gli operatori che  lavorano nei  centri  spe­cializzati. Noi che facevamo tutto  insieme, eravamo guardati con sospetto)). Don  Luigi, però,  non si è dedicato  alle  persone disabili come  una  chiamata speciale:   «A catechismo mi  hanno insegnato che il Vangelo  è per  tutti.  Non  mi è sembrato un  atto  di eroismo. Quando sono arrivato a Roma, frequentavano la parrocchia soltan­to  due  o tre  persone disabili. Le altre  non  si facevano vedere, ma c'erano. E girando  per  le  benedizioni o  parlando con  gli abitanti del quartiere, ho scoperto che erano  tante. Così abbiamo iniziato  a ripetere insistentemente, come questuanti, che saremmo stati felici se fossero venute in chiesa.

È iniziata  in questo modo  una storia  di inclusione cresciuta  fino a oggi: «Abbiamo  parlato  tanto con i catechisti,  coinvolgendo i più giovani.  Abbiamo ragionato su come accogliere  ogni  tipo di perso­na, e questo vale per chiunque, non  soltanto per i disabili. Nessuno nasce specializzato: quale  mamma, prima di avere  un figlio, sa cosa fare?  Il modo migliore  di imparare è volere  bene  alle persone. Non funziona il contrario: prima  studiare e poi rimboccarsi le maniche. Ho conosciuto insegnanti di sostegno  bravissime, che però avverti­vano  come un  peso il compito  di seguire  i bambini. E altri,  invece, che a forza di volere  bene  ai ragazzi sono  diventati esperti.  Ci sono mamme di  figli autistici   che  potrebbero insegnare all'università. Volere bene  è la chiave)). Certo,  gli ostacoli  da superare non sono mancati.

Alcuni   catechisti,   racconta  don   Luigi,  avevano  inizialmente«difficoltà  buone:  «Ci sono  persone che hanno persino paura  di andare in  ospedale  a trovare  un  malato. Con  il tempo,  però,  tanti mi  hanno  ringraziato di  essere  stati  messi  di  fronte  a  una  realtà che  avrebbero volentieri evitato.  Tra i giovani  c'è  meno difiden­za, gli adulti,  invece,  hanno immagazzinato tante  precomprensioni. Quando si comincia  fin da bambini a non  fare divisioni, allora tutto prende  forma naturalmente. E con i difetti dell'Italia, abbiamo an­cora una  scuola  che accoglie tutti>.

«Le differenze tra le persone e le comunità  a volte sono fastidiose, ma lo Spirito Santo, che suscita questa diversità,  può trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo  evangelizzatore che agisce per attrazio­ ne» (EG).

Responsabile del settore Sud della diocesi di Roma,  in cui ricade la parrocchia, è da due  anni  monsignor Paolo Lojudice.  Padre  spi­ rituale  al Pontificio  Seminario Romano Maggiore  per quasi  un  de­ cennio  e parroco  di periferia  introdotto alla marginalità, il vescovo ha accolto  con entusiasmo l'apertura dei Santi  Martiri dell'Uganda:

«Per parecchio tempo  si è preferito delegare  tutto  agli esperti  o alle comunità. Quasi che si trattasse  di un tema  da confinare. Natural­mente è importante avvalersi  di competenze specifiche  e non  im­ provvisare, ma la sensibilità maturata nelle parrocchie e la consape­volezza  di essere  una comunità sono un  bel risultato.

Anche  la formazione dei sacerdoti è cambiata: «Ogni  anno, ad esempio,   proponevamo ai seminaristi dei  percorsi  per  apprende­re la lingua  dei segni  da utilizzare  durante la messa.  I giovani  che partecipavano non erano pochi».  Mons.  Lojudice invita  tutti  i suoi preti a non avere  paura  di aprirsi,  anche  se si rende conto che «non è sempre così» .

La "Chiesa  in uscita"  di Francesco, d'altra parte,  è  «saldamen­te radicata  nel Vangelo»:  «Spesso sfido i miei  confratelli  a trovare qualcosa  che  dica  il Papa  e  che  non  sia  già scritta  nel  Vangelo». Di fronte alla  provocazione che la pratica  dell'inclusione pone  alle parrocchie, mons. Lojudice  è consapevole della distrazione che vie­ne dalle incombenze di natura amministrativa che talvolta  possono arrivare a soffocare  l'entusiasmo per  la ricerca  di forme  nuove  di evangelizzazione che arrivino a tutti: «Ci si limita all'ordinarietà, a quella  pastorale di contenimento che per fortuna- dobbiamo am­mettere - è ancora  molto legata ai sacramenti».

«Per la Chiesa l'opzione  per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica»  (EG).

«Pensa  a un  sacerdote che non  accoglie  tutti:  che consiglio  da rebbe  il Papa? "Chiudi la porta  della chiesa,  per favore!".  O tutti,  o nessuno. "Ma  no -pensiamo a quel  prete  che si difende  -ma no, Padre, no, non è così; io capisco tutti,  ma non posso accogliere  tutti perché  non  tutti  sono  capaci di capire ...".

«Sei tu che non  sei capace di capire!»

Non  utilizzò  mezzi  termini Papa  Francesco, incontrando  l'll giugno  2016  i partecipanti al  convegno per  persone disabili  pro­ mosso  dalla Conferenza Episcopale  Italiana. A porre  la domanda al Santo Padre, tra la folla festante presente in Aula Paolo VI, era stato proprio don  Luigi. «<o sono convinto che se c'è qualcuno che ha di­ ritto ai sacramenti, sono  proprio le persone con disabilità.  Di questo non  discuto  nemmeno», ribadisce  mons. Lojudice.  «Tutti possono accedere ai sacramenti», aggiunge  don  Luigi: «Francesco  ha scritto una  pagina  chiara  di catechismo, voglio vedere  chi avrà  il coraggio di contraddirlo. Eppure  ancora accade.  Ho dovuto celebrare il fu­ nerale di un  caro amico,  papà  di un  ragazzo autistico che  era stato cacciato  da tante chiese.  Cercava  per il figlio un  posto  che lo acco­ gliesse,  dove  si sentisse  a casa. Subiva  l'onta di essere  allontanato dalle chiese  perché,  gli dicevano,  ci voleva  ordine e disciplina. An­ cora capitano preti che rifiutano i sacramenti: "Questo è un angelo, non  c'è bisogno  della comunione!". Tutte sciocchezze».

Al funerale di quel papà,  prosegue don  Luigi, «il figlio pregava come  nessun altro  in  chiesa.  Non ha  detto  una  parola,  si è mosso perfettamente durante la celebrazione. La messa  è il paradiso  degli autistici,  dice il dottor  Carlo  Riva.  Ci sono  schemi ripetitivi,  spazi, colori,  gesti e suoni con  cui si può  interagire. Io ho  partecipato a messe  in  arabo,  non capivo  niente, ma  comprendevo ugualmente tutto. E i ragazzi  con  disabilità  intellettiva capiscono esattamente quello  che accade».

Certo,  chiosa  il parroco,  «Se mi aspetto la classifica confessione: "Padre,  ho  peccato  secondo il primo  dei Comandamenti...!" sono fuori  strada. E sento certe  confessioni   dei cosiddetti  normodotati che ci sarebbe da alzarsi e andare via... Ma chi l'ha  detto  che c'è un modo  solo di esprimersi? Questi ragazzi distinguono con precisione ciò che  è buono da ciò che  è cattivo.  E se durante la confessione parlano poco, è perché  hanno pochi peccati da dire>>.

«La Chiesa dev'essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti pos­ sano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (EG).

Il passo successivo  è stato,  per don  Luigi, il coinvolgimento delle persone con disabilità, anche  psichica, nell'insegnamento del ca­techismo: «Stiamo  procedendo bene. L'assiduità  di  presenza e di impegno non è lontanamente  paragonabile a quella  degli altri ca­techisti». Adesso, però,  è giunto il momento di «raccordare le varie proposte>>: «Nel nostro mondo, queste  iniziative hanno effetto nella misura in cui qualcuno le racconta. Se riuscissimo a far passare tra i parroci  ciò che è importante vivere  e trasmettere, tutto sarebbe più semplice. Esistono  centinaia e centinaia di iniziative  parrocchiali lo­devolissime sul  tema  della  disabilità,  ma  nessuno le  conosce.  Poi ci sono  i movimenti, che fanno  più notizia  perché  sanno curare l'immagine. Noi parrocchie no.  D'altra  parte,  chi parla  di uno  che muore in un quartiere di periferia  anche se era un santo?».

 

2017

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di Riccardo Benotti