UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Duccio di Boninsegna Maestà – Cristo ad Emmaus

Artista Duccio di Boninsegna, pittore, nasce a Siena nel 1255 circa. Poco sappiamo della sua vita, i scarsi dati biografici e le notizie sulla sua attività artistica provengono prevalentemente da documenti ritrovati. Si possono ricostruire gli incarichi ricevuti di opere per enti pubblici, le sue vicende personali, da cui si riscontra un carattere insofferente alle […]
19 Luglio 2018

Artista

Duccio di Boninsegna, pittore, nasce a Siena nel 1255 circa. Poco sappiamo della sua vita, i scarsi dati biografici e le notizie sulla sua attività artistica provengono prevalentemente da documenti ritrovati. Si possono ricostruire gli incarichi ricevuti di opere per enti pubblici, le sue vicende personali, da cui si riscontra un carattere insofferente alle regole, irrispettoso delle norme e, per questo, spesso soggetto a multe e penali da parte delle autorità. La prima committenza risale al 1285, una grande tavola in Santa Maria Novella, a Firenze. La sua attività tuttavia si svolge per la maggior parte nella città di Siena dove, per l’opera del duomo, realizza una pala d’altare, la più grande del duecento, nota come la “Maesta”. Determinante in gioventù l’incontro con Cimabue nella cui bottega conosce Giotto. A Roma e ad Assisi invece riceve e matura la sua formazione artistica. Una cronaca, da un documento del tempo, racconta che il 9 giugno del 1311 ci fu una processione, con grande partecipazione di popolo e di autorità cittadine, per il trasferimento della “Maestà” dalla bottega dell’artista al duomo di Siena.

Nella parte anteriore di questa pala d’altare è raffigurata la “Madonna in trono col bambino, angeli e santi”; nella parte posteriore, in 26 scene, c’è la storia della “Passione di Cristo”, che comprende la tavola dell’Apparizione a Emmaus.

È il capolavoro di Duccio, il vertice della sua pittura. Nella sua complessità culturale racchiude proposizioni e interpretazioni delle sue idee sulla pittura: dalla rappresentazione dello spazio architettonico, ispirata a idee proposte da Giotto, all’uso della luce, proveniente sempre da una parte, che dà tridimensionalità ai soggetti; dai gesti ed espressioni dei personaggi, alla scelta dei colori, più vivi di quelli di Cimabue: i rossi di Siena, inventati da Duccio e gli ori della tradizione bizantina, felice connubio tra Oriente e Occidente, che annunciava già la pittura “gotica” di Gentile da Fabriano. Duccio di Boninsegna muore nel 1318; la data però non è certa perché, da un documento, risulta ancora in vita nel 1319.

Opera

In questa tavola viene raffigurato Gesù che appare a due discepoli sulla strada di Emmaus. Nell’iconografia tradizionale questo episodio culmina nella locanda quando Gesù si fa riconoscere nello spezzare il pane. Duccio ha invece privilegiato il momento del cammino di Gesù con Cleopa e il suo compagno in cui uno dei discepoli, in una bellissima invocazione, dice: “Resta con noi perché si fa sera…”. I due non hanno ancora riconosciuto, nel pellegrino, il maestro, però hanno una sensazione, un‘intuizione interiore che dà loro fiducia, espressa nei volti protagonisti di un amorevole intreccio di sguardi con Gesù. Hanno abbandonato la tristezza e lo invitano con gli occhi del cuore; ora guardano un volto, il volto che apre loro gli occhi. La tavola di Duccio è composta da pochi elementi: da una parte Gesù e i due discepoli in cammino, come per dar risalto al tema del viaggio tanto caro all’evangelista Luca, dall’altra Emmaus, un villaggio fortificato con le mura e una porta di accesso, come le cittadelle fortificate del Medioevo. Il tutto è reso con dovizia di particolari. La strada è in salita, il paese è su uno sperone di roccia; come non ricordare Gesù che dice ai suoi discepoli: voi siete la casa sulla roccia.

Gesù il viandante

In questo pannello Gesù è a sinistra, indossa una tunica e un mantello di pelo animale, ha la bisaccia, il cappello, il bastone e la conchiglia sul petto: è l’abbigliamento tipico di un pellegrino medioevale che si recava al santuario di San Giacomo di Compostela. Al tempo di Duccio erano frequenti i pellegrinaggi in questo luogo di devozione spagnolo.

Gesù si trova dietro ai due discepoli, ha rallentato il passo, non vuole imporre la sua presenza e fa come se volesse andare più lontano, continuare il viaggio. Uno dei due discepoli, invece, lo invita a fare ancora un tratto di strada con loro e a entrare nel villaggio.

Gesù guarda attentamente il discepolo più giovane e la direzione che gli sta indicando, verso quella soglia ancora da attraversare, dove avverrà il riconoscimento. Ci piace pensare a Gesù, che con i due discepoli ha spezzato il primo pane, quello della “Parola”, che diventa  loro “compagno”[1]; bello il significato etimologico della parola, da: cum - panis,  occorre mangiare il pane insieme per essere compagni. Ora non sono più necessarie le parole perché la “Parola” si farà gesto, gesto di amore. Gesù, con la mano destra, sembra acconsentire all’invito del discepolo di entrare per compiere quel gesto che darà la possibilità ai discepoli di riconoscerlo.

 

Cleopa

Cleopa e il suo compagno sono i due protagonisti[2] del racconto di Luca. Ci piace identificare Cleopa[3] nel discepolo più giovane perché, da sempre, è di ogni giovane l’intraprendenza, l’intuizione, il coraggio. Cleopa ha il passo più spedito dei due, è avanti e si rivolge al viandante con l’invocazione che è una preghiera: “resta con noi…”. Il suo sguardo verso Gesù è profondo e tutto il suo essere, il suo corpo, sembra invitare a contemplare il volto di Gesù: il suo è uno sguardo pieno di nostalgia, racchiude il desiderio di chiedere a Gesù di non andare via, mentre i loro sguardi si incontrano e fissano un istante senza fine.

Cleopa, con il suo manto rosso che dice tutta la passione e l’ardore della sua giovane età, ci rende partecipi di questo momento con delicatezza e decisione.

 

L’altro discepolo

L’altro discepolo ha i capelli bianchi, appoggia la sua mano sulla spalla di Cleopa, ha bisogno di qualcuno per sostenersi, per avere ancora speranza, e il verde del suo mantello simboleggia questo suo desiderio.

I due sembrano fondersi, guardano il viandante ma i loro sguardi sono quelli di chi non ha fiducia nella vita, perché il futuro non è più pieno di speranza.

Il discepolo è certamente attratto dal viandante, dal suo modo di parlare, ma non è convinto pienamente, come se pensasse: forse mi sto illudendo ancora una volta, non voglio più vivere tra delusione e speranza.

Anche l’osservatore di questa tavola può condividere questo dilemma interiore: i pensieri dei discepoli sono i nostri e nostre le loro perplessità; forse l’evangelista Luca non cita il nome del secondo discepolo perché il lettore possa identificarsi in lui. Chi di noi, almeno una volta, non ha vissuto questo sentimento?

 

Il villaggio di Emmaus

Duccio ha dato molto rilievo al villaggio di Emmaus dedicandole meta superficie del pannello. Nei testi medioevali Emmaus era denominata “castellum”, un castello fortificato, e così Duccio l’ha rappresentata, protetta da mura e da una porta di accesso.

La strada che conduce a Emmaus è in salita e lo sforzo che si fa quando si sale, rappresenta l’impegno nel cammino che porta alla fede e che dà la possibilità di vedere tutto da una prospettiva nuova, quella di Dio. Emmaus si presenta ai viandanti nella sua imponenza e solidità; è una fortezza che ha le fondamenta sulla roccia. Per entrare c’è da varcare una soglia per scoprire quello che non si vede dall’esterno: le vie, le case, gli abitanti. Notiamo che nella rappresentazione di Emmaus non vi è proporzione e ordine ma contrasto e diversità: colori chiari e scuri, porte, finestre, selciato irregolari nella forma e nella disposizione; l’antro buio, sullo sfondo della porta. Emmaus qui assume un significato metaforico: entrare per quella porta, attraversare l’antro buio, rappresenta per i discepoli il passaggio nel mistero della fede, significa superare la materialità e la ragione. Per noi tutti evoca il cammino da percorrere per conoscere veramente e scoprire la luce, la verità.

L’oro  

Nella pala della “Maestà” Duccio ha fatto largo uso di oro; anche in questa tavola lo sfondo è in oro, sostituisce completamente il paesaggio. L’uso di questo colore era molto diffuso perché simboleggiava il colore del sole.

Per i cristiani la Luce era la luce della Verità e ogni volta che si voleva richiamare la divinità, attraverso l’arte, si impiegava l’oro. L’oro come protagonista, non semplice sfondo, materia capace di trasfigurare e rendere eterno il reale. La doratura sullo sfondo è la rappresentazione di questa luce sacra il cui effetto si amplificava nella penombra delle chiese illuminate solo dalle candele.

Nell’arte sacra l’oro, sinonimo di regalità, veniva offerto a Dio, era il modo migliore per dimostrare la propria devozione.

Approccio vocazionale

Lasciarsi accompagnare … dall’ Altro

 Jean Guitton scrive: “se fosse necessario rinunciare a tutto il Vangelo per una sola scena in cui esso sia interamente riassunto, certo non esiterei a indicare quella dei discepoli di Emmaus”.

Nell’icona dei discepoli di Emmaus è riassunta la parabola della vita, è un racconto in cui dialogano fede e speranza, gioia e dolore, felicità e tristezza.

Gran parte del Vangelo di Emmaus ci narra del viandante, Gesù, che si avvicina ai discepoli, cammina con loro, si pone all’ascolto delle loro illusioni, del loro disinganno; i due, convinti del fallimento della sequela del maestro, hanno attraversato giorni bui; delusi e sconfitti sono piegati dalla paura.

Gesù li va a cercare, torna in mezzo a loro, rinnova il suo rapporto di amore, spezza con loro il pane della parola: risveglia in loro la “nostalgia” di Dio e una preghiera viene spontanea dal cuore dei due: “resta con noi perché si fa sera”.

Emmaus diventa metafora del desiderio di Dio in ognuno di noi: lasciarsi accompagnare, allora, è la condizione per scoprire una dimensione spirituale che è all’origine di ogni vocazione, come della vita. In questo itinerario insieme, chi accompagna, come Gesù nel rapporto con i discepoli, si basa sulla parola di Dio, la medita a lungo, prega per far conoscere la strada, la voce di Dio. Si adatta ai bisogni e alle necessità del compagno, lascia libertà di scelta; ma allo stesso tempo, l’accompagnato deve porsi nella disponibilità ad accogliere e, con umiltà e fiducia, lasciarsi guidare perché diventi un viaggio verso la maturità della fede che conduce a decidere in libertà e responsabilità, secondo il progetto pensato da Dio.

Come Gesù, l’accompagnatore si prende a cuore la storia della persona e crea dentro di sé lo spazio per accoglierla, custodirla e ripresentarla trasfigurata dallo sguardo della fede.

A questo proposito riportiamo le parole di Papa Francesco: “La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana”[4].

Accompagnare l’altro è un’arte e l’altro è una terra sacra da accogliere con cura e attenzione. Se desideriamo che nella Chiesa ci siano giovani capaci di scegliere, discernere secondo il progetto di Dio, è necessario avere persone preparate a condurre questo cammino, perché accompagnare è un’arte che si apprende e si perfeziona, che trasforma e conduce alla soglia dell’incontro con Gesù; è un grande segno di amore. Camminare insieme, accompagnare alla ricerca di Dio, richiede di conoscere e accogliere, come umili discepoli, gli insegnamenti di Gesù, unico, vero maestro.

 

La Chiesa si sta preparando al Sinodo[5] del 2018 dal titolo ”I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Che sia un cammino con i giovani e per i giovani, per fare strada insieme, per nutrirci della sua Parola e farci compagni di viaggio.

 

Preghiera

A tutti i cercatori del tuo volto,
mostrati, Signore;
a tutti i pellegrini dell'assoluto,
vieni incontro, Signore;
con quanti si mettono in cammino
e non sanno dove andare
cammina, Signore;
affiancati e cammina con tutti i disperati
sulle strade di Emmaus;
e non offenderti se essi non sanno
che sei tu ad andare con loro,
tu che li rendi inquieti
e incendi i loro cuori;
non sanno che ti portano dentro:
con loro fermati poiché si fa sera
e la notte è buia e lunga, Signore.

David Maria Turoldo

[1] Come esprime bene Marie Balmary, Il camminare insieme ci permette di essere “abbastanza vicini per comprendersi, abbastanza differenti per sorprendersi” .

[2] Nella Bibbia il “2” è un numero importante che ricorre frequentemente; ad esempio, la validità di una testimonianza era legata alla concorde dichiarazione di due testimoni. Come non ricordare il passo del Vangelo di Matteo: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (18,20) in cui il “2” è il numero basilare per formare una comunità riunita nel nome di Gesù. E ancora ci ricorda quando gli apostoli iniziano il cammino nel mondo per far conoscere Gesù e diffondere la sua parola: “Allora chiamò i dodici ed incominciò a mandarli a due a due”.

[3] Qualche esegeta suggerisce una etimologia originale. Kleopas deriverebbe da pas, tutto, e kleos, notizia. Questo discepolo sarebbe dunque uno che sa tutto, che è al corrente di ogni cosa. Poi in verità gli manca l’essenziale.

[4] Evangelii gaudium  n.169

[5] Sinodo deriva da due parole greche: syn = “insieme” e hodos che vuol dire “strada” o “via “, significa “camminare insieme”.

2017

3

di Antonio Genziani