UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Evangelizzazione e comunità

Ci introduciamo con una  considerazione sul  Documento prepa­ratorio per  il prossimo  Sinodo,  che  aiuta  ad entrare diretta­mente nel  tema  che  ci è stato  affidato:  «Varie ricerche  mo­strano come  i giovani  sentano il bisogno  di figure  di riferimento vicine,  credibili, coerenti e oneste,  oltre che di luoghi  e occasioni  in cui mettere alla prova la capacità […]
28 Giugno 2018

Ci introduciamo con una  considerazione sul  Documento prepa­ratorio per  il prossimo  Sinodo,  che  aiuta  ad entrare diretta­mente nel  tema  che  ci è stato  affidato:  «Varie ricerche  mo­strano come  i giovani  sentano il bisogno  di figure  di riferimento vicine,  credibili, coerenti e oneste,  oltre che di luoghi  e occasioni  in cui mettere alla prova la capacità  di relazione con gli altri  (sia adulti, sia coetanei) e affrontare le dinamiche affettive. Cercano  figure in grado  di esprimere sintonia e offrire  sostegno, incoraggiamento  e aiuto  a riconoscere i limiti, senza  far pesare  il giudizio)) (1,2). Quasi a voler  dare  corpo  a  questo  rilievo,  il Documento, quando  parla delle "figure  di riferimento", sostiene che  «il ruolo  di adulti  degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso  di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con  una  chiara  identità umana, una solida  appartenenza ecclesiale,  una  visibile  qualità  spirituale, una vigorosa  passione  educativa e una  profonda capacità  di  discerni­mento)  (II,2).

La descrizione fatta  possiede  alcune importanti indicazioni per entrare più  direttamente nel  tema  dell'accompagnamento; soprat­tutto  perché  è richiesto che in  questa fase  «Si tratta di favorire  la relazione tra la persona  e il Signore,  collaborando a rimuovere ciò che  la  ostacola  (II,4).  La prospettiva di questo  accompagnamen­to diventa ancora più  impegnativa nel  momento in  cui la si colloca nell'orizzonte dell'evangelizzazione

.

 

Accompagnare, tra l'altro, richiede un'attenzione del tutto parti­  o colare alla  persona con cui si fa un tratto di strada insieme. Richiede  l'ascolto e quindi il silenzio necessario perché l'ascolto possa  cogliere l'intimo e la profondità di chi parla. In questo contesto è importante

possedere la consapevolezza che  quando si cammina insieme ci si accompagna reciprocamente e il movimento, pertanto, non è mai a senso unico. Papa  Francesco nella Evangelii gaudium dà  un'indi­ cazione importante  in  proposito, quando scrive:  «Uscire  verso  gli altri  per  giungere alle  periferie umane non vuoi dire  correre verso

il mondo senza una direzione e senza senso. Molte  volte è meglio «Uscire verso gli  altri per giungere alle  periferie umane non vuoi  dire correre verso il mondo senza una direzione

e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l'ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi  è rimasto al bordo della strada.

rallentare il passo,   mettere da  parte l'ansietà  per guardare negli  occhi  e ascoltare, o rinunciare alle  urgenze per  accompagnare chi è rimasto al bordo della strada>) (EG 46). Insomma, chi accompagna è anche accom­pagnato dalla  persona che  accompagna; e non potrebbe essere altrimenti. Il  cammi­no  lo si compie insieme, oppure è destina­to  ad  essere inefficace. Accompagnare nel processo di evangelizzazione, inoltre, pone in primo piano la categoria di testimonianza con tutta la sua valenza significativa. Torna­no  quasi  spontanee alla  mente le parole di Paolo  VI nella Evangelii nuntiandi: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimo­ni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimo­ni) (EN4l).

Insomma, accompagnare non è un percorso a senso unico; esso comporta la saggezza di chi sa  di avere una  responsabilità per  con­durre una persona verso la libertà. Ciò significa rendersi partecipe di un movimento dinamico che  permette di coniugare la verità del Vangelo con  l'esigenza profonda racchiusa nell'intimo di ogni  persona. In  altre  parole,  accompagnare equivale a condurre la persona nel più profondo della propria  esistenza,  per scoprire  la presenza di una chiamata alla verità,   chiave  di volta  per  realizzare la  libertà,  che permette di andare oltre  noi  stessi  per  affidarsi  pienamente a un piano  misterioso di Dio  che  porta  senso  e significato all'esistenza personale. Alla fine,  siamo  posti  dinanzi alla scoperta di una  vo­ cazione  vera,  genuina, che  spalanca  gli orizzonti perché  permette di scoprire  qualcosa  che,  rinchiusi in se stessi,  non si sarebbe mai neppure immaginato di poter  realizzare.

 

  1. Due icone bibliche

Tra i tanti  testi con cui il Nuovo Testamento esprime  l'esigenza di trovare persone  capaci di accompagnare nella strada  dell'annuncio del Vangelo,  mi soffermo  su  due  in modo particolare. Più di altri, forse,  possono aiutare a comprendere uno  stile,  tra i tanti  proposti, con  cui siamo  chiamati ad  accompagnare in  modo  significativo i giovani  oggi. La scelta  della Parola  di Dio mi è di particolare aiuto nel trattare questa tematica,  soprattutto per sfuggire alle necessarie distinzioni che un tema  come questo  prevede e impone. Penso,  più direttamente, alle condizioni ecclesiali, culturali, sociali che  deter­ minano la  differenza  degli approcci,  mentre la Parola  di Dio con­ sente di avere  un orizzonte propositivo che va oltre questi  schemi, perché  tocca  ognuno nel  profondo del proprio cuore  e si presenta come un'esperienza universale.

 

  1. Il primo testo ci riporta  alla  Lettera agli Ebrei. L'autore  sacro ha  un'espressione lapidaria  che  soprattutto dinanzi  al tema  della "nuova evangelizzazione" non dovrebbe  mai  coglierci impreparati. Egli scrive:  «Gesù Cristo è lo stesso  ieri,  oggi e sempre>>  (Eb 13,8). L'annuncio del Vangelo non cambia  con il passare dei tempi  e delle generazioni. È sempre lo stesso,  come  ai primordi della  Chiesa.  E, tuttavia, l'autore sacro fa precedere a questa espressione un  testo estremamente  significativo: «Ricordatevi dei vostri  capi, i quali  vi hanno annunciato la parola di Dio. Considerando attentamente l'e­ sito finale  della loro  vita,  imitatene la fede»  (Eh 13, 7). Non siamo lontani dall'interpretazione coerente del testo  se lo applichiamo a quanti svolgono  il ministero dell'accompagnamento. Chi lo  com-

 

 

<

pie,  di fatto,  possiede  un'autorevolezza che viene   riconosciuta, e

per questo  è abilitato  ad essere accompagnatore.                                       o

A  un  giovane   oggi si  potrebbe riferire         lO

 

A un giovane oggi si potrebbe

riferire questo invito: ricordati di chi ti accompagna!

questo  stesso  invito  che  viene   dall'autore della Lettera: ricordati  di chi ti accompagna!

Prima  di entrare nel  merito  del testo,  è in-

 

teressante osservare che il termine "capi" ha un significato  partico­

lare  in  questo  specifico  versetto. In tutta la Lettera,  l'autore sacro          

fa  riferimento ai  "capi"  chiamandoli normalmente  "sacerdoti" o                o

"vescovi";  qui, invece,  usa il termine "egoumenoi". Per comprendere                3

il significato di questo  termine è necessario tornare al Vangelo  di              c

Luca, in  cui Gesù, in risposta  alla  discussione  tra i discepoli  su chi          :J

fosse il"più grande", dice: «Chi tra voi è più grande  diventi  come il

più giovane,  e chi governa come  colui che serve ... io sto in mezzo a voi come colui che serve>> (Le 22,26-27). Il senso  fondativo di chi è "capo"  è quello  di essere al servizio;  ogni altra  logica porterebbe fuori  dall'orizzonte dell'insegnamento  di Gesù. Il primo  "servizio" che viene  svolto  da questi  "capi", comunque, è il ministero  della Pa­ rola:  «Vi hanno predicato la parola  di Dio». Il servizio dell'accampa-

gnamento, quindi,  è in primo  luogo  quello

 

Il servizio  dell'accompagnamento

è in primo luogo  quello di portare la persona all'incontro vivo con la Parola di Dio viva nella  vita della  Chiesa. La predicazione non è un fenomeno statico, ma dinamico.

di portare la  persona all'incontro vivo con la Parola  di Dio viva nella  vita  della  Chie­ sa. La predicazione non  è un fenomeno statico,  ma  dinamico. Essa  fa  riferimento alla parola  che  permane come  espressione dell'interpellare, del provocare, del narrare,

del sostenere, del consolare... insomma, la

 

parola  per sua stessa natura è dinamica. Anche  quando si trasmette la Parola  che  era "fin dal  principio",  essa è ancorata al  Logos, cioè alla persona del Figlio di Dio che attraversa i tempi  e le culture per entrare in relazione  personale con chiunque, nessuno escluso.

Il secondo tratto che  emerge  dal  testo  è la  considerazione  cir­ca lo "stile  di vita"  dei "capi".  Il loro  comportamento (anastojh) è coerente con  l'annuncio della  Parola;  non  solo  per  un  momento della vita, ma fino alla fine. C'è un'arte dell'accompagnamento che è scolpita  nello  stile  di vita  di chi accompagna. L'accompagnatore, quindi,  deve essere espressione di vita all'ombra della Parola di Dio, perché  segna  la sua  esistenza come  spazio  vivo  che  crea  la forma del discepolato. L'esempio di passare lungo  tempo nell'ascolto, nel­la meditazione, nello  studio  della parola  di Dio non  è un  esercizio transitorio, ma impegno di vita  che modella l'esistenza fino a ren­derla trasparente nell'azione dell'esistenza quotidiana.

Se quanto detto finora  tocca in modo speciale la persona dell'ac­ compagnatore, un altro  versetto di questo  stesso capitolo  della  Let­ tera agli Ebrei, fa emergere in maniera forte lo stile  di chi è accom­ pagnato: « Obbedite  ai vostri capi e state loro sottomessi, perché  essi vegliano su  di voi e  devono  renderne conto,  affinché  lo facciano con  gioia  e non lamentandosi. Ciò non  sarebbe di vantaggio per voi>>   (Eb 13,17). Obbedire   ed  essere  sottomessi non è  un'azione passiva  del giovane  che  viene  accompagnato, ma  un  esercizio  di libertà.  All'autorevolezza che accompagna chi guida, corrisponde l'obbedienza di chi si affida. È interessante osservare  che  la stessa espressione viene  usata  da  Luca quando parla  di Gesù  dodicenne che, dopo essersi sottratto per tre giorni a Giuseppe  e Maria, tornò a Nazareth e «Stava loro sottomesso>> (Le 2,51).  L'obbedienza cristiana  non  trova  altro  fondamento se non L'obbedienza cristiana trova fondamento nell'obbedienza di Cristo. Il comportamento di Gesù  è fatto di ascolto e obbedienza docile e convinta al Padre. Questa è normativa per ogni altra  forma  di obbedienza che è richiesta nella  Chiesa nell'obbedienza di Cristo. Il comporta­mento di Gesù è fatto di ascolto  e obbe­dienza docile e convinta al Padre. Questa  è normativa per ogni altra forma  di obbe­dienza che è richiesta nella Chiesa.  Gesù non   obbedisce  alla  sua  "coscienza" né alle sue  "convinzioni", come facilmente obiettiamo noi oggi. L'obbedienza del Fi­glio di Dio è frutto  dell'amore e sua  conseguenza. Non si dimenti­chi, tuttavia, che per gli scritti neotestamentari l'obbedienza è rivol­ta alla verità;  ciò che si richiede, pertanto, è l'obbedienza al Vangelo che è parola di verità. Non ci si allontana molto,  affermando questo, da quanto si è precedentemente detto  circa l'incontro con la Paro­la di Dio. L'obbedienza a chi accompagna è solo  una  mediazione, perché  di fatto  è obbedienza alla Parola  di Dio e sottomissione alla sua  volontà. Non  si potrebbe comprendere tutta  questa  tematica fuori  dall'orizzonte dell'amore: «Non  c'è assolutamente nulla  nella Chiesa  - nemmeno il rapporto tra  comando e obbedienza - che possa svolgersi  fuori  dall'amore» (H.U.  von  Balthasar,  "Cristologia e obbedienza ecclesiale",  Saggi IV, 129).  L'obbedienza come espres sione  della responsabilità personale di chi sa rinunciare a qualcosa fede  e nella  vita del discepolato. Ecco perché  chi guida  dovrà  essere  capace di vigilare;  cioè di seguire  in modo  discreto  e nel rispetto delle scelte  che vengono compiute per  essere sempre  capace  di un accompagnamento frutto  dell'amore che educa,  più che di un geloso possesso delle proprie  convinzioni e della

La preghiera rimane, a questo punto, il richiamo decisivo perché le due  persone in gioco possano essere consapevoli del grande dono che viene  reciprocamente fatto nell'orizzonte dello Spirito che guida i passi  di ambedue.

 

 

  1. Il secondo testo fa riferimento all'apostolo Paolo quando scri­ ve: «Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammo­ nirvi, come figli miei  carissimi.  Potreste  infatti  avere  anche  dieci­ mila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti  padri: sono  io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. Vi prego, dunque: diventate miei  imitatori! Per questo vi ho  mandato Timòteo,   che è mio figlio carissimo  e fedele nel Signore: egli vi richiamerà alla memoria il mio modo di vivere in Cristo,  come insegno dappertut­ to  in  ogni  Chiesa}} (l Cor 4,14-17). Nel suo  dialogo  con  i cristiani di Corinto,  Paolo  traccia  le linee  costitutive dell'evangelizzatore: è un  imitatore di Cristo.  Una  persona al servizio  di Cristo  perché  la comunità possa nascere  e crescere. Ciò che i Corinzi fanno  di ri­ chiamarsi a un  apostolo  o all'altro non  ha senso  (cf  1,12);  non ha neppure senso voler rincorrere i carismi  per avere  più autorità sugli altri  (cf 12-13). Ciò che conta,  invece,  è assumere su di sé la logica della croce che esula  da ogni forma  di autoesaltazione per rinviare ognuno al mistero della propria  chiamata. La categoria  dell'imita­ zione  non è affatto  frequente nel  Nuovo  Testamento; appartiene molto  di più  alla  tradizione greco-romana. Delle sole sei volte  in cui il termine "imitatore" si incontra (cf  Ef  5,1; Fil 3,17;  lTs  2,14; Eh 6,12),  cinque  sono presenti in Paolo. In questa stessa lettera  egli ripeterà con  altrettanta forza:  «Diventate miei  imitatori, come  io lo sono  di Cristo»  (11,1).  Come  dire: io, l'apostolo, sono  solo una copia di Cristo, il vero  prototipo a cui guardare e su cui coniugare tutta  l'esistenza è solo Gesù. E, comunque, l'apostolo fa riferimento al suo stile di vita: «<l mio modo  di vivere)). La cosa non è priva di significato  soprattutto per il nostro tema. La vita di fede è appunto una  "vita"  che è caratterizzata dall'incontro con il Signore,  dall'es­sere  attratti dal suo  amore e dal divenire giorno  dopo  giorno  suoi discepoli.  In questa visione  della vita, con ragione  potrà  dire Paolo in  Galati:  «Non  vivo  più  io, ma  Cristo  vive  in me.  E questa vita, che io vivo nel  corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha  consegnato se stesso per me>>  (Gal2,20).

L'esempio di Paolo è sconvolgente, nonostante la sua esistenza contraddittoria, Dio aveva  scelto proprio  lui.

Certo, l'esempio di Paolo è scon­ volgente. Riprendere tra  le mani  il suo testamento fa toccare  con mano la sua convinzione che  nonostante  l'esistenza

contraddittoria, Dio aveva scelto proprio lui: «Rendo grazie a colui che mi ha reso forte,  Cristo Gesù Signore nostro, perché  mi  ha  giudicato degno  di fiducia  mettendo al suo servizio  me, che prima  ero un bestemmiatore, un  persecutore e un violento. Ma mi è stata  usata  misericordia, perché  agivo  per igno­ranza,  lontano dalla fede, e così la grazia del Signore  nostro ha so­ vrabbondato insieme  alla fede  e alla  carità che  è in  Cristo Gesù ... (egli) è venuto nel mondo per salvare  i peccatori,  il primo dei quali sono  io. Ma appunto per  questo  ho  ottenuto misericordia, perché Cristo  Gesù ha  voluto in  me,  per  primo,  dimostrare tutta  quanta la sua  magnanimità, e io fossi  di esempio  a quelli  che  avrebbero creduto in lui per avere  la vita  eterna))  (lTm 1,12-16). Permettere di cogliere la "magnanimità" di Dio, cioè la sua straordinaria ge­nerosità nei  miei  confronti, perché  nonostante la mia  debolezza  e contraddizione ha scelto me per annunciare il suo Vangelo)).

L'orizzonte  vocazionale, pertanto, rimane  come lo sfondo  su cui agire  per verificare la grandezza di un  percorso  verso  il quale  in­ camminarsi per  raggiungere l'obiettivo della  conquista. È ciò che permette di scoprire  che Dio ha  bisogno  di me.  La vocazione, do­ potutto, non si fonda  previamente sulle  qualità  che si possiedono; forse si dovrebbe dire proprio il contrario: la corrispondenza alla vo­ cazione  consente di dare valore  e sostegno a quanto si è. Aiutare  a scoprire  il primato di Dio nella nostra vita e la forza della sua grazia

 

Aiutare a scoprire il primato di Dio nella nostra vita e la forza della sua  grazia

diventano lo strumento per giungere con consapevolezza a orientare la propria esistenza. Una  vocazione non è mai un'improvvisazione: è

la scoperta di un progetto che viene  da lontano e del  quale non  ero ancora  consapevole.

la propria  esistenza. Una vocazione, dopo­

diventano lo strumento mediante il quale giungere  con  consapevolezza  a  orientare     o

tutto,  non è mai  un'improvvisazione;  essa, piuttosto, è la scoperta di un  progetto  che viene  da lontano e del quale,  forse, per di­ strazione non  ero ancora consapevole. Do­

chi accompagna deve  ritenere come  sua  responsabilità personale.

Tu fai parte  di un  progetto di Dio all'interno del quale  scopri la tua dignità  personale per la realizzazione della tua esistenza.

 

Conclusione

Le considerazioni fatte  portano di nuovo al Documento prepa­ratorio, che  può  a buon diritto  essere  assunto come  conclusione: l'annuncio del  Vangelo  richiede  la  capacità  di farlo  entrare nella cultura, veicolo  essenziale  per comunicare. Esiste una"cultura  gio­vanile"  che ha  bisogno  di essere  evangelizzata (cf III, l), attraverso l'entusiasmo di quanti sono  chiamati a far emergere nel  cuore  dei giovani  il desiderio  dell'incontro con  Gesù Cristo  e la forza  dell' a­more  che trasforma.

2017

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di Rino Fisichella

ALLEGATI