UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

I sassolini di Don Tonino

Immagino che la figura  di don Tonino  non  sia sconosciuta e che tratti della sua esperienza di sacerdote e vescovo,  echi del suo im­pegno  per la pace e per i poveri,  espressioni ormai  note  dei suoi testi, risuonino dentro di voi. Mi auguro riecheggino come certezza che nella  Chiesa sia possibile  mettere in atto  la […]
19 Luglio 2018

Immagino che la figura  di don Tonino  non  sia sconosciuta e che tratti della sua esperienza di sacerdote e vescovo,  echi del suo im­pegno  per la pace e per i poveri,  espressioni ormai  note  dei suoi testi, risuonino dentro di voi. Mi auguro riecheggino come certezza che nella  Chiesa sia possibile  mettere in atto  la radicalità  del Van­gelo che è annuncio del buono e del bello di cui ognuno può  essere protagonista in quanto creatura a immagine del creatore.

Guardare a don Tonino significa cogliere la dimensione della possibilità  come  occasione,  opportunità, facoltà  data ad ognuno di fare qualcosa. Se l'essere  chiamati a una scelta di vita, qualsiasi  essa sia,  è la  via perché   ciascuno  realizzi  la sua  storia  pienamente,  la possibilità  è la dimensione che  rende ogni scelta  vocazionale una dimensione attiva  e attivante. La possibilità  che abbiamo per essere pienamente noi stessi.

Di don Tonino l'immagine tra le tante che è fissa è quella  di un  pastore  che co­glieva  la  dimensione del  possibile.  Non so se sia corretto, ma  penso  che  la vo­cazione  sia non tanto rispondere a una chiamata, quanto invece  la scoperta della dimensione attraverso la quale  ciascuno  di noi  realizza la sua assoluta autenticità e irriperi­bilità. E questa è una  dimensione attivante non  data  una  volta  per tutte. Non basta rispondere: «Ci sono, ma interrogarsi su come essere. Una dimensione che accetta  di essere costantemente stimolata dagli  eventi  che non avverte come  minaccia, ma  come  adventum: ciò che deve avvenire ancora  e che può avvenire nella misura in cui generiamo il movimento con la nostra risposta a fare la nostra parte.

Ho scelto alcuni  passaggi degli scritti e della storia  di don Tonino e li offro  sapendo il ruolo  che  avete  nell'accompagnare le vite  di ognuno nella  scoperta del proprio  progetto unico.  Credo  che nella misura in  cui coglieremo la  risposta  di don  Tonino  alla  sua  voca­ zione,  cioè nella  maniera in cui, interrogandosi, ha scelto  di vivere la sua vocazione di uomo,  sacerdote e pastore,  potremo "rubargli" strumenti per rendere possibile la chiamata all'autenticità di ognu­ no di noi e degli altri.

Vorrei darvi dei sassi, che, come scrupoli,  possiate mettervi den­tro  e portarli  con voi.

Lo scrupolo era un piccolo sasso, simile a un sassolino  pungente. Una persona scrupolosa è una  persona che agisce con scrupolo, con vivo senso di responsabilità e di precisione: scrupoloso lo si dice anche di una cosa che è fatta con estrema  precisione e diligenza; minuziosa, meticolosa. I sassi sono  allora  come domande aperte e anche scomode da farci lungo il percorso  di vita che scegliamo.

Il primo  sassolino  è proprio quello  di camminare con lo scrupo­ lo  come  compagno intimo e segreto,  con la  domanda costante  di quanta scrupolosità io stia mettendo nel fare la mia parte.

Il secondo sassolino  è quello  che ci ricorda  che siamo  luce. Non intesa  come l'essere  lanterna che illumina la strada,  o l'essere  luce per gli altri, ma come compimento di ciò che noi siamo.

In un  testo  don Tonino  scrive: «Ognuno di voi è una parola del vo­cabolario di Dio che non si ripete più. E non abbiate la preoccupazione che non ci sia la passerella per voi, che la storia non vi offra un proscenio, che non vi dia la copertina patinata, che non vi dia il video come schermo delle vostre esibizioni: non vi preoccupate di questo. Non è questo il senso. Voi non avete il compito nella vita di fare scintille, ma di fare luce. Io vi voglio augurare  che non abbiate a perdere la dimensione  della quotidianità  e del sogno. Scavate sotto il vostro tettuccio e troverete il tesoro. Non siete inutili. Siete irripetibili».

Lo scrupolo della luce è appunto quello di avere la consapevolez­za che posso rendere unica la mia storia anche nella sua dimensione di fragilità e debolezza.  E aiutare gli altri a ricercare  la loro luce.

C'è  un testo  di don Tonino che  ci of­fre numerosi sassi.

È  La lampara, la  preghiera  dell'ad­dio alla sua terra di origine e del viaggio verso un altro mare, quello di  Molfet­ta,  che  lo  aspetta come vescovo. È una preghiera notturna sul  porto di Tricase. Un  piccolo  molo dove  don Tonino resta solo.  Il silenzio intorno  che  favorisce il silenzio dentro. Una  dimensione di ascolto che  caratterizza la vita di don Tonino. Non  c'è testo e non c'è azione, impresa, che in lui non abbia  una notte di silenzio e solitudine. Ecco il sasso  che  ci dice  lo scrupolo del silenzio come  dimensione intima.

Il silenzio nella sua  dimensione non di chiusura, ma  di apertura all'ascolto più  intimo per  recuperare le altezze che  solo  le  profon­ dità  possono consentirci. La dimensione del silenzio è un esercizio per  imparare a guardare oltre. Un  esercizio al  quale ci sottraiamo spesso e consentiamo che  si sottraggano anche gli altri. Forse  per questo viviamo un tempo di sogni già consumati nel  loro  nascere, perché non hanno basi, ma  solo  altezze che durano il tempo di una stagione. Il molo di Tricase  ci consegna una  delle  più  intense pre­ ghiere di don Tonino.

«E qui, dietro il muraglione del porto, in questo crepuscolo domenicale, non siamo rimasti che io e te, o Signore... Tricase è alle mie spalle. Davanti solo il mare: un mare senza vele e senza sogni...».

Ci sono delle  cose che  don Tonino chiede al Padre nella  notte in cui  il mare è appunto "senza vele  e senza sogni": «Da' a questi miei amici e fratelli la forza di osare di più. La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo. Il fremito di speranze nuove, la volontà decisa di rompere gli ormeggi... stimola in tutti soprattutto nei più giovani una creatività più fresca, una fantasia più liberante  e la gioia turbinosa dell'iniziativa  che li ponga al riparo da ogni prostituzione».

Richieste che  sono degli auguri che  potrebbero sembrare di cir­ costanza se non fossero seguite dalla  fotografia impietosa che  don Tonino traccia della  comunità che  lascia: «Ci sono i poveri, i malati, i vecchi, gli esclusi, c'è chi ha fame e non ha pane ma c'è anche chi ha il pane ma non ha fame, ci sono gli sfrattati, le prostitute, chi è stanco e solo, chi ha ammainato le vele, chi nasconde sotto il coperchio di un sorriso cisterne di dolore, chi pensa che un solo gesto di carità serva a sanare tante sofferenze».

Da questo  passaggio,  che  è fotografia  della realtà,  cogliamo  un

altro  sasso,  quello  che  ci chiede  con  quanto scrupolo conosciamo la realtà  e la situazione in cui siamo  (altrimenti la vocazione è fuga dalla realtà). Non è solo una  immagine poetica  «Chi  nasconde sotto il coperchio di un  sorriso  cisterne  di dolore}}: è una  metafora vera che empatizza e sintonizza, che dice di una sensibilità che coglie la prossimità con  delicatezza. Che  non  vede  la fotografia  per  giudi­ carla, ma  per  cogliere  le sfumature, il fermo  immagine che mette insieme tutti i particolari.

Lo scrupolo del realismo non come  pratica di cinismo, ma come conoscenza del reale.

C'è poi il sasso della nostalgia  del futuro. È il sasso che ci muove e non  ci fa stare fermi,  qualunque sia la condizione della nostra vita, qualunque sia la nostra  luce. Se guardiamo   all'esperienza ultima  della vita di don Toni­no, pieno  di futuro che promana dai suoi  testi, dalle sue parole:  «Vi benedico da un altare sco­modo, ma carico di grazia. Vi benedico da un altare coperto da penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma riso­nante di voci».

È la benedizione che don Tonino  pronunciò con un  filo di voce il suo  ultimo  giovedì  santo,  quando su  una  lettiga  scese dalla sua stanza per celebrare  la liturgia  degli olii.

Nella preghiera La lampara,  in  una  notte dove il mare  è senza vele e senza sogni, basta la luce  di una  lampara vista in lontananza a dare slancio  e far dire:  «Ora basta. È già scesa la notte, ma laggiù sul mare, ancora senza vele e senza sogni, si è accesa una lampara».

Il sasso è quello  che ci interroga su quale  pastura abbiamo e che cogliamo  in  quel  dire  "basta". La pastura non  del  ripiegamento e del dubbio  come  pratica  costante  e unica,  ma  quella  dell'affidarsi al barlume di una  luce che si coglie da lontano per intraprendere il viaggio. Rompere gli ormeggi  che  ci fanno stare  in acqua,  ma ben ancorati alla terraferma. Siamo  spesso in questa  nostra dimensione di ambivalenza. Timorosi  di  osare.  Che  è  un  segno  di invecchiamento. La pastura della giovinezza che guarda anche  con sfronta­tezza.  La pastura di chi è audace.

Il sasso della pastura è quello  che ci dice il termometro della no­stra audacia,  della nostra dismissione  dai sogni.

Ma  come  facciamo  a  coltivare  con  costanza la  dimensione  del sogno? Credo  che  questa  sia  una domanda che  ci facciamo  con  il passare  degli anni e della stanchezza che ci prende e talvolta  vince.

Facendo vuoto di potere  e riempendolo di azioni e scelte potenti, che  possono  cioè  generare comunità. Mi spiego.  C'è, soprattutto nella Chiesa,  come in ogni struttura che declina  una  modalità di convivenza, un  immaginare se stessa  per conservazione e riprodu­cibilità di ruoli  e azioni.  La certezza  dell'esistente diventa talvolta l'unica e la sola condizione per autodeterminarsi.

Don  Tonino  invita  a fare  il vuoto di  potere  per  generare il servizio.  Cambiare  i simboli.  Oltre  la mitra,  il pastorale e l'anello, anche il catino,  la brocca  e l'asciugatoio che nella  Chiesa sono sim­boli antichi. ..  precedenti ai tre simboli  più noti.  Don  Tonino  non sprigiona il sogno  inventando, ma andando alle radici e ridando ai simboli il loro valore di senso. I sognato­ri non sono rivoluzionari a prescindere. Sono  capaci di andare ai bisogni  profon­di e anche inespressi di una  comunità e di connetterli alle azioni  necessarie nel qui e ora. Il bisogno  delle nostre comu­nità non era quello di avere  un vescovo  che esercitasse  il suo man­ dato  con il solo l'anello (simbolo  di fedeltà), ma  che  indossasse  il grembiule nella  ferialità  di ogni giorno. L'aver  reso quel  rito occa­sionale pratica  quotidiana del suo  mandato ha  fatto  di don Tonino un  profeta,  un  sognatore di sogni  diurni,  e poiché  «i poveri  sono sempre e saranno sempre con noi (cf Gv 12,8),  le ferite nelle  quali incarnare parole  e gesti di speranza non sono  occasionali  o margi­nali,  ma  sono strutturali. Il vuoto che  i simboli  del  potere  hanno generato nelle  comunità ancorate a riti svuotati di senso  ha bisogno di nuovi simboli che dicono  pratiche di comunità vive.

Credo  che uno  dei nodi  di questo  tempo sia non solo il valore, ma soprattutto il significato che diamo alla parola "potere" nel mo­mento in  cui realizziamo le scelte  della  nostra  vita  e della  nostra chiamata. Potere  come verbo,  poter fare, o come sostantivo: il potere.

Il sasso  che  ci riporta  allo  scrupolo del  nostro rapporto con  il proprio potere,  cioè  con  la propria  responsabilità all'interno  della comunità è un sasso necessario. C'è infine  un  ultimo  sasso quello che ci rammenta il nostro rap­porto  tra obbedienza e libertà. Il testo che vi suggerisco  è La coscienza e il potere?.

L'interrogativo di  quel  libro  è  come  essere  all'interno di  una struttura alla  quale  si deve  obbedienza, nella  consapevolezza che disobbedire è necessario per evitare  l'asfissia della struttura stessa e garantire il rispetto  degli altri.  Don Tonino  parla  di «paletti catastali che recingono la zona che è di proprietà comune per tutta l'umanità. L' in­tangibilità della vita umana,  la valorizzazione dell'altro, l'accoglimento dell'altro, il perdono... le cose assurde  di cui ci parla il Vangelo». Su que­sto non  bisogna  concedersi  sconti e a chi ne  chiede non  farli.

Lo scrupolo del disturbo da avvertire costantemente. «Lo scopo di un vescovo che fa parte di una struttura è di non lasciarsi schiacciare dalla struttura, che è effimera; anche la Chiesa è effimera, è precaria. Non deve predicare se stessa ... deve essere un indice puntato non verso il proprio petto, ma verso il Regno, verso il futuro».

Guardare le strutture in questo senso si­gnifica accettare che il movimento è la di­mensione della vita.. E forse  c'è  un  sasso  ultimo  da  portarci dentro: è il sasso don Tonino. Presenza  e testimonianza scomoda perchè vera, autentica nel compimento  sua  vocazione. Io vi auguro di sentirlo un  po'  come  lo abbiamo  sentito noi che lo abbiamo conosciuto: il pungolo costante  al nostro torpore, la chiave che metteva in moto  le potenzialità di ognuno, la carezza che non si limita a consolare, ma accompagnare, sostenen­do la possibilità che ognuna ha ed è di essere luce.

 

 

 

 

 

 

 

2017

4

di Elvira Zaccagnino