UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il conforto

Tiziano Ferro Il conforto  http://www.youtube.com/watch?v=0H-WHLI8YNg Come spiega la pagina  Facebook  ufficiale di Tiziano Ferro, Il con­ forto «è una  ballad  dalla  produzione atipica,  elettronica, priva  di elementi acustici nel corpo di arrangiamento. E il canto segue que­ ste direttive». Il secondo  brano estratto dal già tre volte  pla tino Il mestiere della vita è soprattutto […]
19 Luglio 2018

Tiziano Ferro

Il conforto 

http://www.youtube.com/watch?v=0H-WHLI8YNg

Come spiega la pagina  Facebook  ufficiale di Tiziano Ferro, Il con­ forto «è una  ballad  dalla  produzione atipica,  elettronica, priva  di elementi acustici nel corpo di arrangiamento. E il canto segue que­ ste direttive». Il secondo  brano estratto dal già tre volte  pla tino Il mestiere della vita è soprattutto la giustapposizione musicale  di due stili apparentemente diversi, eppure tanto  affini per tenerezza ed intensità vocale.  La pacata  e schietta voce di Carmen Consoli  e la profondità testuale di Tiziano Ferro, in collaborazione con Emanue­ le Dabbono, confezionano quello  che,  senza  indugio, è stato  defi­ nito  come  il duetto elettropop più centrato degli ultimi  10 anni  di storia  di featuring all'italiana.

L'intesa  amicale  e artistica  con la Consoli ha una  storia  di anni, come  confida  Ferro:  «È la mia cantante preferita  da sempre, per il suo canto  meraviglioso ma istintivo,  è la vera erede  di Mina: quan­ do abbiamo scritto insieme  nel2010 ho scoperto una persona molto simile  a me  e l'ho  voluta  con  me  nel  capitolo  più  importante di questo  racconto, una  canzone  che evita i manierismi dei duetti: più contenuto che apparenza».

La canzone, dice Dabbono, nata  dalle parole,  più che dalla mu­ sica, ha  nel  duetto la sua  collocazione perfetta: «È nata  dal  tito­ lo pensando che "il conforto" potesse  essere  un mattone su cui costruire una  casa.  Nasce  dalle  parole. Poi è arrivata la musica  e poi l’idea geniale  di Tiziano di renderlo un  duetto perché all’inizio non  lo prevedeva. L’impianto vocale  di Tiziano e Carmen ha dato un  tocco in più al brano  e alle parole. Hanno davvero dato  luce al significato  del testo».

Il videoclip

L’essenziale  del testo  viene  ripreso  anche nel videoclip  in cui la Consoli  è avvolta  e accompagnata in un  abbraccio  di infinita  dol- cezza con Ferro.  I colori chiari scelti per i capi indossati richiamano l’essenzialità e la trasparenza nell’incontro. Il confronto è tra  gli “amanti-amati” che  sono  mesi  quasi  a nudo davanti ad  un  lun- go piano  sequenza che li ripropone metaforicamente sempre dalla stessa prospettiva. Eppure l’occhio della macchina da presa riesce a descrivere un incredibile dinamismo emozionale.

Un’esperienza visiva e un  video  fuori  dagli schemi,  un  incontro così emotivamente potente al quale  non  si deve aggiungere altro: il “conforto” si respira  e se ne fa l’esperienza

L’altro

Fermarsi. Offrire una  pausa  ai nostri  passi affrettati tra la gente, sulle  strade,  negli  incroci  di infiniti  appuntamenti. Accorgersi  che accanto a noi  c’è un  altro  uomo. Incontrarlo: l’incontro è la più grande delle esperienze! Si declina  nell’accoglienza e nel dialogo  e si compie  nell’assumersi la responsabilità della  vita  e della  felicità reciproche.

Lèvinas dice che il volto dell’altro è il libro su cui sta scritto il bene. A confermare che, se non  incontro l’altro nella sua alterità e diversità, nella sua ricchezza e nel suo valore,  mi rimane sconosciuta la strada che  il bene  sceglie per  farsi storia.  La relazione diventa un  movi- mento in direzione del bene  che strappa dalle pastoie  dell’egoismo e dell’indifferenza e mette in guardia dalla tentazione del separarci, distaccarci,  isolarci in noi  stessi. Comprendere in sé l’atro significa vivere  tra e con, significa  immergersi e mescolarsi  per  liberarsi  da falsi stereotipi, da timorose diffidenze, da più  o meno esplicite  ti- tubanze. Conoscere è il primo  passo dell’amare. Quando accolgo di aprire  gli occhi, l’altro giunge  nella mia vita come evento e avvento che  rompe schemi,  irrompe negli spazi angusti, dilata  gli orizzonti di mente e cuore  e annuncia risurrezione.

L’abbraccio

Heidegger  ha elaborato il suo pensiero filosofico a partire dall’a- bitare;  esistere  come  essere  umani, per  il filosofo, coincide  fonda- mentalmente con l’abitare:  Io sono – Tu sei, cioè Io abito – Tu abiti. Si trova  realizzazione e pienezza nella  misura in cui si abita; l’essenza dell’abitare è aver  cura,  è stare  “infra”,  nel rapporto, nella  relazio- ne. Ovvero  è soggiornare presso sé e presso l’altro nella storia che è data,  è abbracciarsi e custodirsi e coltivarsi.

L’abbraccio è come  l’Eden, il giardino consegnato all’uomo per- ché lo coltivi, traendo la vita dalla sua fecondità e perché lo custodi- sca con cuore  permeabile e penetrabile, favorendo l’eccedenza della vita.

John Lennon, nella  canzone Love, ricorda  che Love is touch, touch is love, ovvero  L’amore è toccare, il tocco è l’amore. L’abbraccio è espres- sione di un amore che è consegnato e condiviso a partire dal con-tat- to, dall’incontro con la corporeità e la fisicità dell’altro,  che dicono la sua anima e la sua storia  in tratti  peculiari e unici.  Per abbracciarsi bisogna  che ciascuno sappia  essere  là dove  realmente è, in situazio- ne, sappia  amarsi  e stimarsi  con il sentimento della festa preparata e vissuta.  In questo modo, nell’incontro, cade la paura di compro- mettersi e di mettersi in gioco, trova  strada  la gratuità e il toccarsi diviene  regalo che stupisce,  sorprende e, nel rispetto e nell’ascolto, fa fecondo  ogni momento.

Abbracciare, allora,  significherà essere  colmi  di quella  gratitudine  che è fiducia  rivolta  al bene  che si sviluppa nell’altro, al bene che  l’altro  di per  sé rappresenta, indipendentemente da  noi,  e al bene che riceviamo dall’altro.  È così che l’essere grati diviene  scuola di generosità: rende capaci di condivisione, costruisce la novità, fa pronti sempre ad attendere l’inatteso.

Il conforto

Il dolore  spesso ci sequestra in un  isolamento che può  raggiun- gere  livelli insopportabili e può  far morire. Il grido  di chi soffre ci giunge  il più delle volte senza parole:  è un silenzio inerme, è la vita messa  a nudo, è lo sguardo ferito  dalle  avversità. Compassione e conforto significano ascolto,  sintonia, responsabilità di fronte alla vita, scelta solidale fatta di gesti e di permanenza.

Nella  compassione c’è la sospensione di qualsiasi  giudizio  sul- la vulnerabilità dell’altro,  perché la compassione è il perdono che interrompe lo strascico  della  tristezza  e il macerarsi nell’infelicità e concede pieno  accesso alla speranza, nella  fiducia  che  il cambia- mento è possibile e che la bellezza  può  trovare posto  nel desiderio di oltre e di altro.

Compatire è generare in noi e nell’altro la paziente sete di quel che ancora non  c’è. Ci vuole  tempo e attesa, perché il sole non  sor- ge mai all’improvviso. Ci vuole pazienza. Solo il paziente, dopo aver seminato, proverà la gioia del veder  nascere.

Così, liberi dal peso del passato  e dalla idealizzazione del futuro, liberi da fusione  e simbiosi, si diviene  capaci di essere forti e di ren- dere  forti, di confortare appunto.

Si tratta di essere presenti, di avvicinarsi e di volgersi all’altro con lo sguardo di Dio, in nome di Dio; a volte,  al posto di Dio.

È quel bacio che ha trasformato la vita di Francesco d’Assisi e lo ha ancorato al Vangelo sine glossa.

David Grossman, L’abbraccio

«Sei dolcissimo», disse la mamma a Ben mentre facevano una passeg- giata nei campi verso sera, «sei dolcissimo e tanto carino, non c’è nessuno al mondo come te!».

«Davvero non c’è nessuno al mondo come me?», domandò Ben. «Certo che no», rispose la mamma, «sei unico!».

Continuarono a camminare lentamente. Sopra le loro teste un grosso stormo di cicogne volava verso paesi lontani. «Ma perché?», chiese Ben fer- mandosi di colpo, «perché non c’è nessuno al mondo come me?». «Perché ognuno di noi è unico e speciale», disse la mamma ridendo e accovacciandosi a terra.

«Vieni qui, siediti vicino a me». Poi fischiò alla loro cagnetta, Splendida, perché si sedesse con loro. «Ma io non voglio che al mondo ci sia soltanto uno come me», protestò Ben. «Perché no?», si stupì la mamma, «è una cosa bellissima che tu sia unico e speciale!».

«Perché così sono solo!», si lamentò Ben, «mentre io voglio che ci sia anche qualcun altro come me!»

«Tu non sei solo», gli spiegò la mamma,  «ci sono io con te, e anche papà». «Sì», ammise Ben, «però…». Era confuso e non ricordava più cosa voleva dire. «Vieni qui», mormorò la mamma, «siediti vicino a me». Ben non si sedette. All’ improvviso i suoi occhi si fecero grandi e profondi: «E non c’è nemmeno nessuno al mondo come te?». «No, non c’è», disse la mamma.

«Allora anche tu sei sola?». «Ma no. Ho te e papà…». «Ma non c’è nessuno proprio uguale a te?». «No, non c’è», ammise la mamma. «Allora sei sola», proclamò Ben sedendosi accanto a lei.

«E non ti senti sola, da sola…?».

La mamma sorrise, disegnò col dito dei cerchi per terra e rispose, «sono un po’ sola e sono un po’ con gli altri, e a me va bene essere un po’ così e un po’ cosà…».

Il sole cominciava  a tramontare, il cielo si fece quasi rosso. «Io mi sento solo», mormorò Ben sottovoce. «Ma tesoro», esclamò la mamma, «ci sono io con te!». «Ma tu non sei me». Tacquero. Nell’aria c’era un buon odore di terra e di erba, e un ronzio di mosche e di altri insetti che svolazzavano dap- pertutto, danzando. Ben accarezzò la cagnetta distesa accanto a lui. «Anche Splendida?». «Anche Splendida cosa?», domandò la mamma. «Anche di Splendida ce n’è solo una in tutto il mondo?». «Sì», rispose la mamma accarezzando il pelo morbido della cagnolina, «c’è una sola Splendida in tutto il mondo».

Per terra, accanto ai piedi di Ben e della mamma, camminava una lun- ga fila di formiche. Forse mille. Si somigliavano moltissimo, mille formiche identiche. Ma quando Ben le guardò da vicino vide che una camminava veloce e un’altra piano. Una si sforzava di trascinare una foglia grande e un’altra trasportava soltanto un chicco di grano. E ce n’era una, piccolina, che correva avanti e indietro a lato della fila. Ben pensò che forse quella for- michina aveva perso i genitori e li stava cercando. «Questa formica lo sa che non c’è nessun altra al mondo come lei?», domandò. «Questo non lo posso sapere», rispose la mamma. Ben ci pensò un po’ su, poi disse: «Non lo puoi sapere perché tu non sei lei?». «Sì», confermò la mamma, «perché io non sono lei». La formichina rientrò finalmente nella fila e riprese a camminare con le altre. Ben pensò che forse le due formiche grandi che le camminavano accanto erano i suoi genitori.

«Allora di ogni persona  ce n’è solo una al mondo?» domandò Ben. «Sì, ce n’è solo una», disse la mamma.

«E perciò sono tutti soli?». «Sono un po’ soli ma sono anche un po’ in- sieme. Sono sia l’uno sia l’altro». «Ma com’è possibile?». «Ecco, prendi te per esempio. Tu sei unico», spiegò la mamma, «e anch’io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola».

«Allora abbracciami», disse Ben stringendosi alla mamma. Lei lo tenne stretto a sé. Sentiva il cuore di Ben che batteva. Anche Ben sentiva il cuore della mamma e l’abbracciò forte forte.

«Adesso non sono solo», pensò mentre l’abbracciava, «adesso non sono solo. Adesso non sono solo».

«Vedi», gli sussurrò mamma, «proprio per questo hanno inventato l’ab-braccio».

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