UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLE VOCAZIONI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

L’altro volto della speranza

FILM: L'altro volto della speranza DATA USCITA: 06 aprile 2017 GENERE: Drammatico ANNO: 2017 REGIA: Aki Kaurismäki ATTORI: Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Ilkka Koivula, Janne Hyytiäinen, Kaija Pakarinen PAESE: Finlandia Col cinema  voglio cambiare  il mondo», ha dichiarato il cineasta scandinavo all'ultimo Festival  di Berlino  dove,  in concorso  per  la prima  volta,  ha  ottenuto l'Orso […]
18 Luglio 2018

Col cinema  voglio cambiare  il mondo», ha dichiarato il cineasta scandinavo all'ultimo Festival  di Berlino  dove,  in concorso  per  la prima  volta,  ha  ottenuto l'Orso  d'argento per  la regia  con  questa sua  ultima  opera,  che  dovrebbe  far  parte  di una  "Trilogia dei mi­ granti,  o dei porti",  ancora  in fieri (la prima è Miracolo a Le Havre, con la quale  questa  ha parecchi punti in comune).

Con il suo inconfondibile linguaggio, ricco di ironia  e di umori­ smo stralunato, con il suo stile antinaturalista, surreale, favolistico e poetico, il regista finlandese (che gira ancora  in 35 mm)  ripropone la sua poetica  che guarda  con puntigliosa coerenza agli ultimi,  agli emarginati e ai marginali in un  mondo sempre  più disumanizzato. Ha scritto  di lui l'amico  Peter  von Bagh  (cinefilo e critico scompar­ so, cui il film è dedicato): «Ha descritto  una  Finlandia marginale, un  mondo di sfortunati e di perdenti, di cui coglie la luce  magica, la sofferenza  autentica, la compassione profonda e l'umorismo, con un  fantastico senso  dello stile, sorretto dalla coscienza  ingenua del proprio  valore».

 

La vicenda    Nel porto  di Helsinki  arriva  casualmente Khaled,  un  siriano  in fuga da Aleppo,  dove  la guerra  gli ha distrutto la casa e l'intera fa­ miglia,  ad eccezione  di una  sorella,  Miriam,  che si è persa  durante il viaggio. Chiede  asilo alle autorità. Viene inviato  in un  Centro  di accoglienza,  dove fa amicizia  con Mazdak,  profugo  dall'Iraq. In se­guito  l'asilo  gli viene  negato e Khaled,  prima  di essere  rimpatriato forzatamente, riesce a fuggire  e a far perdere le proprie  tracce.  Un giorno  s'imbatte in Wilkstrtim,  un venditore ambulante di camicie che ha da poco piantato la moglie alcolizzata e che, dopo aver cessa­to l'attività, in seguito  ad una grossa vincita al poker clandestino, ha preso in affitto un  ristorante. L'iniziale scontro tra i due  (volano  un paio di cazzotti)  si trasforma ben  presto  in accoglienza, aiuto,  soli­darietà. Khaled  trova lavoro  e ospitalità  e, in seguito,  riuscirà anche a far arrivare la sorella  con la quale  può finalmente ricongiungersi. Wilkstrtim,  dopo questa  esperienza di apertura verso l'altro,  ritorna dalla moglie  (nel  frattempo rinsavita), mentre Khaled,  accoltellato da uno  skinhead, viene  consolato da una  cagnetta ed è soddisfatto di aver ritrovato la sorella  e un senso alla sua vita.

Il racconto   La struttura è lineare  e divide l'opera in due  grosse parti  prece­dute  da un'introduzione e seguite  da un  epilogo.

Introduzione    Vengono  presentati, separatamente, i due  protagonisti del film, Khaled  e Wilstrtim.  Le prime  immagini sono  quelle  del mare. La nave  cargo  Eira approda nel  porto  di Helsinki  per  caricare  del car­ bone.  Poi, improvvisamente, da  un  mucchio di  polvere  di carbo­ne  emerge  la figura  di un  uomo  quasi  completamente sepolto. È Khaled,  che viene  subito  presentato come  un  dannato della terra, una maschera di polvere,  un animale ferito.  Guardingamente scen­de dalla nave  e si guarda  intorno con aria smarrita. È notte. Tutto intorno si vedono grandi  casermoni: in alcuni appartamenti ci sono, però, alcune  luci accese  (sono quelle luci che, simbolicamente, rap­ presentano il bene che esiste in un mondo di buio  e che richiamano le luci in altri film dell'autore).

Da un'altra parte  Wilstrtim,  un  uomo di mezza  età,  si mette la cravatta, prende in mano una  valigia e poi, senza  dire una  parola, si toglie la fede nuziale  e la consegna  alla moglie,  una  donna coi bigo­ dini in testa,  la sigaretta in bocca e la bottiglia  accanto. Poi l'uomo se ne va. È il segno di una separazione, di un malessere esistenziale. Sale in macchina e parte  per un viaggio di lavoro.

Ed ecco che, appena per un istante,  i due  protagonisti s'incrocia­

  1. Khaled sta attraversando la strada  vicino alle strisce pedonali si ferma  per far passare la macchina di Wilstrbm. È un'anticipazione del loro incontro e dell'intreccio delle loro vite, anche grazie ad una musica  extradiegetica (su Wilstrbm)   che  diventa poi  diegetica  (su Khaled).

      1• parte    La struttura segue alternativamente i due protagonisti nelle loro vicissitudini, come se non avessero  niente a che fare tra di loro. Per comodità espositiva,  anziché passare  continuamente da una  storia all'altra, seguiremo i due  protagonisti separatamente, senza  tenere conto della struttura alternata.

 

Khaled. Con la sua sacca a tracolla si fa indicare  un luogo  dove poter fare una  doccia. Va in stazione, si ripulisce,  si cambia, si petti­ na e poi si reca in una stazione  di polizia dove fa domanda di asilo in Finlandia. La risposta: «Chiedere non  è un  problema. Lei non è cer­ to  il primo.  Benvenuto signor  Khaled  AlÌ». Viene  schedato (peso, altezza,  foto,  impronte digitali)  e invitato a firmare  un  foglio. Poi viene rinchiuso in una stanza  dove incontra Mazdak. I due profughi fraternizzano subito.

In seguito  i due  vengono portati in  un  Centro  di accoglienza, assieme a tanti  altri migranti, e restano in attesa  di conoscere  il loro destino. Un giorno  Khaled viene  convocato dall'Ufficio immigrazio­ ne,  dove, attraverso un lungo  colloquio (molto importante dal pun­to di vista strutturale), veniamo a conoscere la sua storia  pregressa. Un  giorno,  tornando dal lavoro,  Khaled  trovò  al  posto  della  casa un  cumulo di macerie: «Non so chi aveva lanciato il missile; truppe governative, ribelli,  americani, russi,  hezbollah, Isis... Mia sorella Miriam  arrivò  nello stesso momento; era andata al negozio a fare la fila per il pane. Cominciammo subito a scavare.  I vicini ci aiutarono. Al mattino avevamo trovato mio  padre,  mia madre, il mio fratelli­no,  mio zio, sua moglie  e i loro  figli: stavano pranzando insieme.

L'indomani, dopo  aver  seppellito i suoi  cari, si fece prestare 6.000 dollari  dal suo  principale  (padre  della sua fidanzata, morta durante la guerra)  e si mise in cammino. Turchia,  Grecia, e poi attraverso la Macedonia, verso la Serbia, fino al confine  ungherese. Qui chiusero la frontiera e Miriam rimase  dall'altra parte.  Nel tentativo di tornare indietro, fu arrestato e portato in prigione.  La donna che l'interroga ha  un'espressione bonaria e gli chiede  se ha subito  delle violenze.

L'uomo risponde: «Continuamente. Hanno  cercato di prendere mia sorella  tre volte.  Ma delle brave  persone ci hanno aiutato>>. Libera­to, Khaled continuò a cercare  la sorella in vari Stati, ma inutilmen­te.  La donna che  l'interroga gli domanda come  abbia  fatto  ad at­ traversare le frontiere. Sconsolatamente Khaled  risponde: «È stato facile. Nessuno ha voglia di vederci.  Noi portiamo solo problemi».

Il colloquio viene  sospeso  e Khaled,  mentre fa ritorno al Centro di accoglienza, viene  aggredito da tre skinhead che inveiscono con­ tro  di lui. Al Centro s'approfondisce l'amicizia con Mazdak  che gli presta  il suo  telefono per  contattare un  cugino,  con la speranza di avere  notizie  di Miriam.  Poi i due vanno in un bar a farsi una  birra. Qui due anziani cantano una  canzone molto  significativa: «Questa terra  è una  dura  terra pietrosa. È una  terra  di lunghe nuvole grigie. Sebbene il Signore mostri  misericordia per il contadino, questa terra non lo farà mai». Vale la pena  di sottolineare qui le numerose can­ zoni  e i brani  musicali  che  costellano il film, caratteristica di tutte le opere  dell'autore: sono stacchi  musicali  con brani  di rock e blues finnico-sovietici anni 70, suonati da personaggi stralunati e da im­ probabili orchestrine (elemento stilistico inconfondibile del cinema di Kaurismaki, così come  un  eterno décor anni  50).  Al bar  anche Mazdak  si lamenta per la sua  situazione; è un  anno che  è lì e non va né avanti  né indietro; cerca un  lavoro  (è infermiere) e vorrebbe portare  lì la sua famiglia,  ma i suoi  titoli di studio  non  gli vengono riconosciuti: «Non porto  gioia a nessuno. Non riesco ad aiutare me stesso,  figurati  gli altri».  Poi dice di fingere  di essere felice e soddi­ sfatto  perché   «quelli  malinconici sono  i  primi  che  mandano via. Tutti i malinconici vengono respinti».

In  un  secondo interrogatorio Khaled  dice di aver  «seppellito  il Profeta  e Dio con la sua  famiglia»  e, di fronte alla donna che dice: «Perciò  dovrei  scrivere  che  lei è ateo»,  ribatte: «Come  vuole,  ma non sono  neanche quello>>. Racconta  poi altre  peripezie. A Danzi­ca, davanti  al porto,  fu aggredito da skinhead nazisti  e si rifugiò su una  nave: «Ero stanco  e mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato  la nave  era già al largo. Mi ha scoperto un  marinaio. Era un  uomo  buono; non l'ha  detto  al capitano». Il marinaio gli disse anche  che la Finlandia è un buon paese, fatto di brava gente. E con­ clude:  «Questo è un paese senza guerra. Voglio rimanere qui, impa­rare una  lingua,  trovare un lavoro,  trovare mia sorella e portare qui anche lei per garantire che abbia un  futuro. E alla domanda della donna: «E riguardo a lei stesso?»,  risponde, significativamente: «o non  sono importante».

Finalmente gli viene  annunciato che è stata  presa una  decisione sul suo  permesso di soggiorno. Khaled  si reca alla stazione  di poli­ zia, pieno  di speranza, ma qui viene a sapere  che la sua domanda di asilo è stata  respinta perché,  secondo il Ministero degli affari esteri, nella  città  di Aleppo  non  esistono  seri pericoli  alla sua  incolumità. Pertanto verrà  portato fino ad Ankara in Turchia e poi scortato fino al confine siriano. Non può fare appello  alla sentenza. Viene amma­ nettato e riportato al Centro  in attesa  di rimpatrio.

Proprio  qui, in televisione, vengono mostrate le condizioni della città  di Aleppo  (attraverso delle immagini di repertorio). La situa­zione  è sempre più grave.  Aleppo est, ancora  nelle  mani  dei ribelli, viene  bombardata dalle truppe siriane  e russe. È stato  colpito anche un ospedale pediatrico. Tutto scarseggia. Dopo un'ultima notte,  du­rante la quale saluta il suo amico  Mazdak  e suona per lui, con uno strumento di un altro  profugo,  alcune  note  struggenti, Khaled,  con l'aiuto di un donna del Centro,  riesce a scappare davanti ai poliziotti che sono  venuti per portarlo via.

Si rifugia  in mezzo ad  una  piccola folla che assiste  ad un  "con­ certo", ma improvvisamente arrivano i soliti energumeni (sulle loro giacche  c'è scritto:  «Esercito di liberazione della Finlandia») che lo aggrediscono e stanno per  dargli fuoco.  Ma improvvisamente,  dal buio,  sbucano alcuni  homeless che lo difendono e mettono in  fuga gli assalitori.

Willstrom. La sua  storia  può  essere  riassunta molto più  breve mente. Dopo aver  abbandonato la moglie,  si mette in viaggio nella notte (la notte  e le luci sono  sempre molto  importanti nell'econo­ mia  del film).  Si ferma  in uno  squallido ostello  e il mattino dopo riparte per vendere le sue camicie. Ad una  cliente  manifesta la sua volontà di cambiare attività. Le offre la possibilità  di acquistare le sue giacenze  (circa tremila camicie)  a metà  prezzo, ma la donna (interpretata da  Kati  Outinen, l'attrice feticcio  di Kaurismaki)  gli dice che anche lei ha intenzione di chiudere l'attività e di trasferirsi a Città del Messico «a bere sakè e a ballare l'Ula Ula». Poi approva la decisione  di Willstrtim  di aprire  un ristorante: «È un settore molto redditizio. Le persone bevono se le cose  vanno male  e bevono an­cora  di più quando vanno bene. I due  si salutano.

Finalmente  Willstrom riesce  a  vendere tutte le  sue  camicie e, con  bel  gruzzolo in  contanti, tenta la fortuna al gioco  recandosi in una bisca  clandestina. Incassata una fortuna, si reca  in  un'agenzia immobiliare, dove  prende in affitto un ristorante piuttosto scalcina­ to,  "La pinta  d'oro", comprensivo di  «due  dipendenti, sicuramente capaci,  che  devono rimanere in quanto personale di lunga data>>  (in realtà, i dipendenti sono tre,  perché c'è  anche una donna, Mirja, che  è un'apprendista).

Qui  si scatenano l'ironia e l'umorismo del  regista  che  presenta personaggi stravaganti e situazioni surreali: i dipendenti stralunati (il cuoco che  dorme in piedi), il venditore furbo e disonesto che incassa i soldi  in  contanti e non paga  gli arretrati ai  dipendenti,  il cliente al  quale viene servito un pranzo espresso con  le  aringhe (della  casa)  ancora nella scatola, l'accordo sullo  stipendio "con tariffe sindacali", la richiesta di anticipo, ecc. Particolarmente  signifi­cativa  la frase  del protagonista che  dice di non avere nessun amico.

2• parte   I due  protagonisti s'incontrano. Willstrom trova Khaled che  dor­me  vicino ai  suoi   bidoni della  spazzatura. Ne nasce uno scontro (un paio  di pugni), ma  subito dopo  vediamo Khaled che  viene ri­focillato e assistito da  tutto il  personale e dallo stesso Willstrom. È importante sottolineare che  l'incontro con  Khaled è  preceduto dalla  comparsa in cucina della  cagnetta Koinstinen (che sostituisce qui  la più famosa Laika  degli altri  film del  regista), un animale che Willstrom vorrebbe cacciare, ma  che  poi  resta a far  parte di quella sgangherata famiglia.

Nonostante l'aspetto burbero, Willstrom si prende cura  di Kha­led: gli offre  un lavoro, lo ospita nel  suo  garage, gli presta dei soldi. Quando arriva un'ispezione da parte delle  autorità, Khaled e la ca­ gnetta vengono rinchiusi in uno sgabuzzino, in una  scena surreale ed  esilarante. Superato l'esame,  bisogna fornire Khaled di  docu­menti. Nessun problema, basta pagare il nipote di uno dei dipen­ denti ed  ecco  un documento che  attesta che  Khaled (ribattezzato Khalid Hussein)  ha  ottenuto asilo  politico e  permesso di  lavoro. Tant'è vero che  quando viene fermato dalla  polizia  per  un control­lo, tutto risulta essere  a posto.

Khaled  ritrova  l'amico  Mazdak  che però non  ha ancora nessuna notizia  di Miriam.  Khaled  dice di essersi innamorato della  Finlan­ dia, ma desidera  andarsene per cercare  la sorella. Nel frattempo gli affari  del  ristorante non  vanno molto  bene  e quindi  viene  prima trasformato in  un  sushi  bar  e poi,  vista  l'esperienza disastrosa,  in una  sala da ballo.

Quando Mazdak  porta la notizia  del ritrovamento di Miriam  (si trova in un Centro  per rifugiati in Lituania), Khaled vorrebbe parti­ re subito,  ma,  ancora  una  volta,  Willstrom  interviene in suo aiuto. Con la complicità  di un camionista che porta  un carico in Lituania, finalmente Miriam  riesce a raggiungere il fratello.  Da notare che il camionista non  chiede  nulla  per il trasporto della  ragazza.  Final­ mente i due fratelli  possono  riabbracciarsi. Hanno tante cose da rac­ contarsi. Miriam  dice: «Mi sentivo persa, ma delle brave  persone mi hanno aiutato. Una  famiglia  dell'Afghanistan mi ha  praticamente adottata, anche  se sono  più vecchia  di ognuno dei loro sette  figli>>. Khaled  le offre la possibilità  di fabbricarsi  una nuova vita, ma la ra­ gazza ribatte:  «No, Khaled,  non  ce n'è  bisogno. Io non  voglio cam­ biare il mio nome. Voglio mantenere la mia identità. Domani  andrò ad  autodenunciarmi)). Khaled  allora  le risponde: «Come  vuoi.  Ti porterò da Mirja e domani ti porteremo dalla polizia)). Lei conclude: «Sei il fratello  migliore  del mondo>>. Ma mentre fa ritorno al suo giaciglio, Khaled  viene  pugnalato dal solito  skinhead che,  a dimo­strazione della sua ignoranza, gli dà dell'"ebreuccio".

Epilogo   Willstrom  si reca in un chiosco dove lavora la moglie  e le chiede di poterla  accompagnare a casa. La donna, che dice di non aver più bevuto un goccio da quando lui se n'è andato, ha conservato la fede nuziale ed è disposta  a ritornare con lui.  I due  ritornano a casa e trovano il garage dove  dormiva  Khaled  vuoto  e con la porta aperta: per terra  ci sono  tre gocce di sangue.

Khaled, seppur ferito,  riesce a dare indicazioni alla sorella  che si reca  dalla  polizia. Poi si separano. «Tu mi aspetterai?)), chiede  lei; «Io devo andare adesso.  Ci vediamo stasera, risponde lui. L'ultima immagine è su  di lui sdraiato per terra  e appoggiato ad  un albero. Fuma  una  sigaretta. Poi sembra  guardare in macchina, mentre la cagnetta  gli lecca il viso, aprendosi ad un leggero sorriso.

Significazione    Il film non  dice che  cosa capiterà  a Khaled:  tornerà al lavoro?

Guarirà? Oppure la ferita  non gli lascerà  scampo? Ma  quello  che importa è che i due  protagonisti, attraverso questa  relazione  basata sulla solidarietà, ricevono effetti benefici.  Willstrtim,  aiutando chi è nel bisogno, matura e si evolve  (lui che aveva detto  di non aver nes­ sun  amico)  e si apre  nuovamente al rapporto con  la moglie. Kha­ led, che aveva  detto  di non essere importante, riesce a "salvare"  la sorella garantendole un futuro. La tematica è molto  simile a quella espressa in Miracolo a Le Havre, in cui la solidarietà (tra l'uomo bian­ co e il bambino nero)  produceva addirittura un miracolo. E anche qui  la solidarietà viene  dalle  persone più semplici  o più  umili.  Di fronte  a Khaled  ci sono  coloro  che lo minacciano e cercano  di ucci­ derlo  (gli skinhead); ci sono gli organi ufficiali che, apparentemente accoglienti e comprensivi, gli negano però l'asilo perché le la guerra nel suo  paese non  è abbastanza distruttiva; infine  c'è Willstrtim,  un uomo  alla deriva,  che solo con  un  colpo di fortuna (provvidenzia­ le?) riesce a disporre  di un  po' di soldi; e ci sono  tutte  quelle  brave persone di cui si parla continuamente nel film (i dipendenti, gli homeless, l'inserviente che fa scappare Khaled,  il marinaio che  lo ha  nascosto... perfino  la cagnetta). Ecco allora  dov'è "l'altro volto della speranza" di cui parla il titolo del film. È il volto  di tutti  coloro che, nonostante le leggi e le politiche  talvolta  disumane, sono quasi naturalmente (senza bisogno  di grandi  proclami) dalla parte  di chi si trova  nel  bisogno  perché  non  hanno privilegi  da difendere e si sentono parte della stessa dolente umanità.

Idea centrale    È  chiaro  l'intento  universalizzante da  parte  del  regista:  in  un mondo dove molte  persone sono  private  dei loro  diritti  e sono co­strette a vivere nella  clandestinità e nella  marginalità, solo la com­prensione, la generosità e la solidarietà possono  restituire loro  la dignità  di persone umane, permettendogli di ritrovare il senso  della vita.

2017

3

di Olinto Brugnoli