Nel testo di antropologia cristiana Uomo (Ed. Queriniana), il teologo tedesco Jürgen Moltmann individua alcune pietre di inciampo che impediscono di crescere in pienezza di umanità:
- il mito dell’uomo totale, inteso come il Dio in terra capace di controllare e risolvere le situazioni più diverse e controverse;
- l’utopia e la illusione dell’uomo ideale, libero dai condizionamenti e capace di un immutabile autocontrollo, programmato con la immutabile efficienza, ma anche insensibilità, di un moderno PC;
- il fascino dell’uomo dal cuore avventuriero, moderno cavaliere errante sempre alla ricerca di qualcosa che mai troverà;
- la grottesca parodia dell’uomo senza qualità, in cui egli riprende il titolo dell’opera più nota, ma incompiuta, dello scrittore e drammaturgo austriaco Robert Musil.
È la sconfessione senza appello dell’uomo che può tutto (1Cor 1,26-31), ma anche il rigetto di una caricatura di uomo senza prospettive e senza risorse. Guardando al tema del 5° Convegno Ecclesiale di Firenze,
“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, le riflessioni declinate in questo numero di «Vocazioni» si sforzano di rileggere le fatiche della nostro crescere in umanità e le valenze prettamente vocazionali di questa prospettiva.