L' sortazione apostolica Evangelii gaudium (24 novembre 2013) è il primo tra i documenti ufficiali di Papa Francesco, giacché per la redazione dell'enciclica Lumen fidei (29 giugno 2013) scritta "a quattro mani", egli si avvalse della collaborazione del suo illustre predecessore, Papa Benedetto XVI. Non ci si deve perciò meravigliare se lo stesso Jorge Maria Bergoglio abbia riconosciuto a Evangelii gaudium un evidente «significato programmatico e dalle conseguenze importanti» (n. 25), essendovi racchiuse la struttura portante e le linee guida del suo intero pontificato. Prima di esaminare alcune tra le singole questioni ivi affrontate, è bene aver presente la portata del documento nel suo complesso. Giustamente, un noto adagio recita: «Il testo senza contesto è pretesto)). Isolare anche un solo versetto senza tener conto del quadro d'insieme può condurre a letture riduttive, distorte e/ o ideologiche. Ecco perché - anche solo soffermarsi sulla suddivisione del testo (in cinque capitoli) -, può dare già alcune indicazioni su cosa stia davvero a cuore a Papa Francesco: l) la trasformazione missionaria della Chiesa; 2) nella crisi dell'impegno comunitario; 3) l'annuncio del Vangelo; 4) la dimensione sociale dell'evangelizzazione; 5) evangelizzatori con spirito. Con queste premesse diventa molto più agevole individuare i pilastri - sei, a mio avviso- su cui si regge tutta l'impalcatura di Evangelii gaudium: l) la riforma della Chiesa a partire dall'immagine di una Chiesa missionaria "in uscita"; 2) le tentazioni di chi opera in ambito past orale; 3) la Chiesa intesa come popolo dei battezzati coeso nell' azione evangelizzatrice. 4) l'omelia e la sua doverosa preparazione; 5) i poveri, da collocare sempre più al centro della vita ecclesiale e sociale; 5) la pace e il dialogo; 6) la ricerca delle motivazioni di ordine spirituale soggiacenti alla missione della Chiesa. Ciascuno di questi argomenti si innesta ed armonizza coi restanti, similmente alle diverse facce di un medesimo prisma: come trait d'union tra ciascuna di esse appare limpida la visione di una Chiesa immaginata da Papa Francesco come viva, gioiosa e in costante at - teggiamento di conversione; non concentrata su questioni di ordine pratico o burocratico, ma di natura profondamente spirituale: questo è l'incipit per un'autentica novità di vita. Emerge allora il sogno di una Chiesa mai ripiegata su se stessa ma costantemente "in uscita", così da poter incontrare tutti gli uomini e tutto l'uomo il quale, non poche volte, si scopre invece estraneo non solo al proprio pros simo, ma anche a se stesso. La sfida non è per niente agevole. Anche in altre occasioni Papa Francesco si era soffermato sull' impellenza di dare avvio ad un nuovo umanesimo - incentrato su Gesù Cristo vero Dio e vero uomo - e alla riappropriazione di un nuovo modo di vivere insieme ancorato su queste medesime fondamenta. Non è un caso allora che Papa Francesco abbia voluto dedicare il secondo capitolo della Evangelii gaudium proprio alla crisi dell 'impegno comunitario
progressivo quanto deleterio sfaldamento della comunità: spesso anche nella coscienza degli stessi battezzati, sui quali è sempre in agguato la tentazione di una fede annacquata da mondanità spirituale, modellata a proprio uso e consumo o, ancora, ricercata in tanti piccoli gruppi di appartenenza scelti e formati in base alle proprie simpatie o sulla scorta di una qualche affinità elettiva. Alla radice del deprezzamento di una vita buona in comune concorrono diversi fattori: quello maggiormente incidente pare essere la sete di denaro, idolo antico e sempre attuale a causa del quale l'economia tende sempre più ad escludere anziché ad includere; a favorire i potenti anziché porsi a servizio di chi viene messo ai margini; a incrementare le guerre anziché spendere ogni energia per la ricerca della pace. Denunciando questi drammi -le cui nefandezze hanno assunto ormai da tempo pesanti ripercussioni a livello planetario- Papa Francesco mostra di possedere un atteggiamento realista (a tratti preoccupato), ma mai rassegnato o, peggio, incline alla disperazione, bensì volto alla speranza. Nel fare ciò, assume in toto l'atteggiamento aperto, positivo e dialogante del Concilio Vaticano II verso il mondo contemporaneo, il quale, pur mostrando quotidianamente le laceranti ferite prodotte dal peccato degli uomini, è stato pur sempre creato da Dio e, al pari degli uomini che lo abitano, è anch'esso bisognoso di una Parola di salvezza.
Ecco perché l'Evangeliigaudium, la gioia del Vangelo! Ma qual è il cuore del suo annuncio? Papa Francesco lo afferma in modo perentorio: «Non vi può essere vera evangelizzazione senza l'esplicita proclamazione che Gesù è il Signore e senza che vi sia un primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione» (n. l l O ) Annunci diversi da quello in cui vi sia al centro Gesù Cristo, unico Signore e salvatore del mondo, non conducono ad alcuna salvezza: sono solo inutile dispendio di tempo e mezzi. Non si può fare esperienza di vera beatitudine senza aver prima ricevuto e accolto il Vangelo! Come ha ripetuto in diverse circostanze Papa Francesco: «Non lasciamoci rubare la gioia dell'evangelizzazione! ( ... )La gioia del Vangelo è quella che niente e nessuno ci potrà mai togliere» (cf Introduzione e nn. 83-84)
A diffondere ovunque la gioia del Vangelo concorre evidentemente - oltre al Vangelo stes so - la collaborazione di un'intera comunità ecclesiale perennemente al suo servizio. A tal riguardo, Papa Francesco indica un approccio più gesuano, ovvero più attinente al Vangelo: ogni periferia - geografica, umana, esistenziale -non sia più l'approdo ultimo di ogni attività della Chiesa, bensì il suo punto di partenza! Una cosa infatti è occuparsi (anche) dei poveri, dei migranti, degli emarginati; altro invece è fare degli ultimi i primi; degli schiavi e degli abbandonati i nostri padroni! Questa visione ecclesiologica riprende, approfondisce, e oserei dire radicalizza, quella delineata dal Concilio Vaticano II - soprattutto nella costituzione pastorale Gaudium et Spes su "la Chiesa nel mondo contemporaneo" (7 dicembre 1965) - e dal magistero pontificio post conciliare: a titolo esemplificativo basti pensare alle pagine dell'esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (8 dicembre 1975) di Paolo VI. Il Vangelo - cioè Gesù Cristo morto e risorto per la salvezza del genere umano- è gioia in sé e deve poter essere motivo di gioia per chi lo annuncia e per chi lo riceve. Solo con l'obbedienza a Gesù Cristo e al suo Vangelo è possibile sperare nelle relazioni: sia nella Chiesa, sia con chi- pur non appartenendo al corpo ecclesiale- è tuttavia uomo o donna di buona volontà, mosso/a cioè da una profonda sete di verità, pace e giustizia. Ben inteso: l'annuncio del Vangelo per la Chiesa non è un optional, ma una necessità vitale. Già San Paolo disse, parlando di sé e della propria missione: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (lCor 9,16). Pertanto, la Chiesa è antologicamente missionaria, lo è cioè per sua stessa natura! Abdicare all'annuncio del Vangelo vorrebbe dire per la Chiesa cessare di esistere, non essere più corpo tonico e in salute, ma malato, agonizzante e prossimo al decesso. Di conseguenza, la proclamazione del kerygma è fatto anzitutto ecclesiale: prima ancora di essere responsabilità delle sue singole membra, l'annuncio del Vangelo è compito impellente del corpo ecclesiale nel suo complesso. uomo o donna di buona volontà, mosso/a cioè da una profonda
Difatti, chiunque riceve il battesimo ap partiene a Cristo e alla Chiesa. Perciò, tutti i battezzati si appartengono reciprocamen te come membra vive dell'unico Corpo di Cristo: la Chiesa. Di qui l'appello all'unità perché vi è «Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chia mati, quella della vostra vocazione; un solo Si
gnore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo
Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agi
sce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef
4,4-6). In un'epoca come l'attuale - con